Il mondiale di Australia e Nuova Zelanda per il calcio femminile non è solo una vetrina sportiva, l’occasione per pubblicizzare un brand. L’attenzione e gli investimenti riversati nel calcio dell’altra metà del cielo hanno coinvolto nell’operazione mediatica una serie di interlocutori nuovi. Meno sensibili alla realtà troppo spesso opaca, dello sport al femminile.
Accade così che alla vigilia dell’esordio dello Zambia al mondiale contro la Spagna, venga rivolta al commissario tecnico delle Chipolopolo (Copper Bullets) la seguente domanda. “Non crede che l’attenzione mediatica sul suo caso personale, possa influire negativamente sulla squadra?”.
Il solertissimo addetto stampa della FIFA impedisce a Bruce Mwape di rispondere alla domanda. Il riferimento del giornalista è all’inchiesta sulle presunte molestie sessuali ai danni delle giocatrici, che in patria lo vede coinvolto come principale e unico accusato.
Il giornalista spagnolo che aveva posto la domande s’è visto apostrofare dall’addetto stampa della FIFA con un laconico: “vi invito a porgere domande solo sulla partita e sul torneo”. Certo chiedere se l’allenatore e commissario tecnico della nazionale dello Zambia sia un nuovo Larry Nassar può urtare la sua sensibilità. Forse anche quella di chi ha permesso che il Qatar sfruttasse migliaia di schiavi per costruire degli stadi nel deserto.
La domanda successiva non è stata però di tenore diverso, ma questa volta uno stizzito Mwape con aggressività s’è detto sorpreso della domanda. “Perché mi dovrei ritirare, se non c’è nessuno motivo. L’atmosfera della squadra e serena, perfetta.”
Se pensate che questo sia un caso isolato, vi sbagliate.
Alcuni giorni la BBC è stata costretta alle scuse pubbliche. Semplicemente perché il suo inviato alla conferenza stampa del Marocco aveva rivolto una domanda al capitano della squadra. A Ghizlane Chebbak era stato chiesto se fosse preoccupata per la possibile incolumità di alcune sue compagne di squadra. Poiché nel paese nordafricano l’omosessualità è punita con pene minime di tre anni di reclusione.
A FIFA media officer interjected, saying: “Sorry this is a very political question so we will just stick to questions related to football please.” The reporter responded: “No, no, it’s not political, it’s about people, it’s nothing to do with politics, please let her answer”.
Il calcio è uno strumento politico e di politica, come tutto lo sport. La FIFA esercita il suo potere da 4 miliardi di ricavi netti l’anno con arroganza. Non vuole certo che una manifestazione come il Mondiale di calcio femminile tratti di questioni di diritti. Diritti delle donne per giunta.
Non si può parlare di transgender nonostante il capitano dello Zambia abbia livelli di testosterone accumunabili a quelli di atleti uomini. Guai a chiedere ad una atleta se si sente libera di vivere la sua sessualità, nel suo paese, quello per il quale disputa la coppa del mondo.
Una volta però avevamo gli eroi. Tommie Smith e John Carlos, Città del Messico, 1968. Oggi come allora è una questione di diritti umani. Quelli calpestati in Qatar e quelli calpestati ogni giorno in paesi come l’Iran, il Marocco e lo Zambia. Non è solo una questione di “equal pay” non l’è mai stata.