Mi manca quel tocco leggero di pittura che hai dato ad ogni schema. Quelli bravi le chiamano letture. Ad ogni frammento di partita, mi manca quando all’improvviso con una scintilla negli occhi, un guizzo improvviso trasformi una palla banale in una magia accompagnata dagli ohhhhh della panchina.
Ho strillato e mi sono incazzato come non mai. Devi scendere sotto la linea della palla, devi essere più cattiva nei contrasti, devi rincorrere l’avversario se perdi il pallone, devi, devi, devi. Fino a chiederti se riuscivi a rientrare in campo dopo il crack del ginocchio, perché ti ho chiesto sempre così tanto?
Ti ho chiesto troppo? Non lo so, forse sì, se l’ho fatto è stato amore, fiducia incondizionata, è stato come affidarti tutto, tutto quel che ho, per carità nulla di tangibile, solo passione, filosofia e speranza di un domani migliore. Il pane quotidiano di ogni allenatore.
Mi manchi e non ho intenzione di rinunciarci. Un percorso lungo ci aspetta ed è il motivo per cui il giorno dopo ero li a prenderti la mano, ad accompagnarti nelle visite. Io ed i miei sensi di colpa sull’uscio della porta mentre l’ortopedico ti stirava la gamba in ogni posizione. Tu ed io, i nostri guai ed i nostri sogni che di solito si risolvono in una grossa litigata in campo ed un immenso abbraccio quando esci dallo spogliatoio.
Sorpasso i campi di Padel con disprezzo. Giro l’angolo cieco che porta al campo di calcio a 5. Alzo gli occhi annoiato e con la coda dell’occhio scorgo un viso che non conosco. Vestita di giallorosso, un palleggio, due, tre, i capelli sciolti che ti accarezzano il viso ed il tuo piedino che accarezza il pallone. Per me invece nessuna carezza piuttosto un colpo di fulmine, tu invece un colpo di biliardo, stop di tacco e palla in buca d’angolo.
Entro in campo. Un sorriso di imbarazzo, 4 chiacchiere. Tu che mi parli del calcio ad 11 ed io che cerco di convincerti che questa potrebbe diventare casa tua, casa nostra. Sento le tempie che mi pulsano, non posso fallire t’ho aspettato tutta la vita, ti ho cercata in ogni campo su cui rotolava un pallone.
Questa qui è diventata poi casa tua, casa nostra, sull’altare delle nostre promesse ci hai sacrificato un crociato ed io tante notti insonni. Non lo dimentico ora e non lo dimenticherò mai perché la mia memoria non risiede in testa ma nel cuore.
E’ lui a ricordarmi i momenti importanti, batte sempre più forte, rende i sogni ossessioni, le promesse catene da cui non ci si può liberare finché non si mantiene la parola data.
Se ti stai dicendo che ora posso fare a meno di te ti stai raccontando la solita cazzata, non solo non posso ma non voglio, il senso di tutto questo appartiene a te quanto a me e sarai la voce che mi sussurrerà all’orecchio ogni volta che penserò di mollare.
Non so quando arriverà ma un giorno non troppo lontano ti vedrò correre verso la panchina e ti abbraccerò, ti abbraccerò più forte che posso per chiederti scusa della sofferenza di questi mesi, per dirti che a volte ci siamo allontananti ma sei sempre il mio amore calcistico più grande, ti abbraccerò forte e ci libereremo di questa lunga notte che ci sta mangiando i sogni e l’anima e sarà dolce pensare che ce l’abbiamo fatta anche questa volta.
Il futsal è fatto di diagonali, pressing, 1vs1 ma alla fine risponde sempre ad un concetto che guarda tutti questi tatticismi dall’alto, quanto sei disposto a dare per dimostrare a chi hai accanto che non è soltanto un numero di maglia?
Ti aspetto in campo, mio 9.