La serie televisiva “Swagger”, giunta alla sua seconda stagione è una produzione originale di Apple TV+. È una serie drammatica sportiva, sviluppata e prodotta da Kevin Durant, stella della NBA, e da Reggie Rock Bythewood, noto produttore e regista. Si tratta nemmeno troppo velatamente di una riscrittura moderna dell’esperienza di Durant nei suoi anni di formazione.
Pressione, aspettative della famiglia e della comunità. Difficoltà economiche e la questione razziale percorrono la trama di questa serie che esplora anche le complesse dinamiche tra giovanissimi atleti e i loro allenatori. Ambientata nel contesto delle “High School” non è solo per la durezza dei temi trattati che la serie si distingue da altre dello stesso genere.
Una dei filoni d’oro della cinematografia sportiva americana è stato scoperto molti anni fa da Peter Berg che finanziò personalmente oltre a curarne la regia della trasposizione sul grande schermo del capolavoro di Bissinger: “Friday Night Lights”. A rivoluzionare il genere ci fu la scelta d’allontanarsi dalla narrazione del “sogno americano” e trasportarsi nella meno poetica realtà degli Stati Uniti post Regan.
Swagger però non sceglie solo un linguaggio più crudo, cambia il registro visivo delle riprese sportive. Vuole portare lo spettatore dentro alla partita senza farla somigliare ad una ripresa canonica da partita di basket trasmessa dalle majors. Assume per questo il cameraman John Lyke. Il nome non vi dice niente vero? È uno dei più apprezzati “bladecam guy”. È in grado di operare le riprese pattinando sui rollerblade.
La telecamera così può attraversare letteralmente il campo ad una velocità e con delle angolazioni che le permettono di imitare la velocità del gioco tanto da trasmettere allo spettatore l’impressione di essere in campo con i protagonisti garantendo una immersione che attraversa il piano emotivo e finisce in quello fisico.
Perché chi segue il calcetto a cinque saponato dovrebbe guardare Swagger? Per la lezione di narrativa visiva che impartisce a chi riesce a leggere anche superficialmente le sequenze della serie tv. Offrono a chi consuma calcio a 5 l’occasione per scoprire come si confeziona davvero un prodotto d’intrattenimento a carattere sportivo.
A chi invece produce contenuti per il calcio a 5 questa serie racconta che c’è un linguaggio che funziona, che riesce a parlare a quella Gen Z che diserta ovviamente gli spalti del futsal perchè il registro consunto da strapaesana con il quale si racconta il calcio a 5 a loro non interessa minimamente.