Il calcio dilettantistico in Italia è una realtà enorme, nei numeri e nelle proporzioni rispetto ad altre attività sportive. Tuttavia, dietro le quinte di queste società sportive amatoriali spesso si nascondono pratiche illecite. L’alto numero di società, la complessità delle normative fiscali, la scarsa trasparenza e la mancanza di controllo esterno rendono la giungla degli amatori il luogo ideale dover far sparire i propri denari. Per poi farli ricomparire altrove.
Ci spostiamo fino a Pomezia. È il 15 luglio 2022, ore 23.54. Sulle pagine online dell’edizione di Latina del quotidiano il Messaggero campeggia la notizia: “Una frode discale milionaria, trema il Pomezia Calcio”. Verrebbe da pensare che il Pomezia militi almeno in Lega Pro. Sbagliato. La squadra si barcamena nel campionato di Eccellenza laziale. Aveva appena ottenuto la promozione in Serie D. Arrivava però a questo risultato sportivo, dopo un triennio fatto di fusioni e accuse di bancarotta fraudolenta.
All’indomani delle notizie di stampa, la società s’affretta a dichiarare in un comunicato stampa, abbastanza scontato:
“Il Pomezia Calcio 1957, in merito alle notizie apparse su alcuni organi di stampa di una presunta frode fiscale, comunica di essere totalmente estranea ai fatti contestati e ha dato mandato ai propri legali di difendersi nelle sedi opportune”. Inoltre si precisa che la società Pomezia Calcio 1957 nata il 1 luglio 2019 è una ASD sana e in regola con tutti gli adempimenti fiscali previsti. Pertanto con la presente si intende tranquillizzare tutti i tesserati e i tifosi rossoblù che il Pomezia Calcio 1957 continuerà più forte di prima ad essere un punto di riferimento per la città e non solo”
Spoiler: tutto miseramente falso.
Arrivano infatti 3 anni di inibizione per il presidente (di fatto) Alessio Bizzaglia, due anni invece comminati ai dirigenti Nazareno Cerusico e Federico Coculo. La Procura Federale sportiva ha: “chiaramente dimostrato come nel caso in esame vi sia stato da parte dei deferiti (con eccezione del Bacchiani) un uso improprio dei fondi societari, di fatto destinati a scopi non rientranti nell’ambito dell’esclusiva attività sportiva.”
La stessa procura definisce un quadro abnorme per una società dilettantistica che milita nel campionato d’Eccellenza il volume di denaro tra i 700.000 e il milione di euro che finivano annualmente nelle casse della squadra attraverso le società dello stesso patron. Il quale poi attivamente li distraeva destinandoli altrove.
“Nell’ambito di tale attività di vero e proprio controllo su tutte le spese sostenute dalla SSD Pomezia Calcio da parte del Bizzaglia è anche documentata ed accertata la presenza di numerose operazioni finanziarie in uscita da conti correnti sociali. in assenza di riscontri ed a favore di persone non riconducibili all’attività della società per un totale di € 3.794.556,06. (cfr. pag. 135 e ss e 1807 ess. atti Procura di Velletri). Sintomatico e tranchant circa i pagamenti o i prelievi di denaro estranei all’attività della SSD Pomezia Calcio è poi il fatto che tra i soggetti beneficiari di tali corresponsioni, ovvero autori di prelevamenti di contanti, risultino alcuni dipendenti della Bizzaglia A & S srl, come il Sig. Alessandro Conti, ovvero anche la moglie di Alessio Bizzaglia, e la sorella di quest’ultimo (Barbara Bizzaglia – pagg. 1054 e ss e 1833 e ss. atti Procura di Velletri).”
Come sempre la Federazione Italiana Giuoco Calcio e la Lega Nazionale Dilettanti arrivano sul luogo del delitto quando hanno già altri ripulito la scena del crimine. In questo caso è stata la Guardia di Finanza coordinata dalla Procura di Velletri, a far emergere una frode fiscale di oltre sette milioni di euro. Gli organi di controllo del calcio, ignari o ignavi ovviamente.
Tra pagamenti in nero ai giocatori, movimentazione fittizia di denaro, operazioni di fusione societaria ideate al fine di eludere debiti pregressi e contratti di sponsorizzazione gonfiati, secondo la Guardia di Finanza il Pomezia Calcio era diventato una sorta di bancomat con il quale eludere il fisco.
Un mondo dilettantistico che si mette di traverso quando si tratta di implementare nuove norme è quello stesso, cosciente che tre anni di inibizione non sono che uno schiaffetto sulle mani e una raccomandazione “non farlo più eh”. Il principale protagonista della vicenda non era nemmeno un tesserato FIGC. Era il così detto patron, molto poco occulto e presentissimo almeno da quanto risulta dalle indagini giudiziarie.
Capaci di distrarre sette milioni dalle casse del fisco, investendole in maniera fraudolenta nello sport amatoriale. Nel calcio dilettantistico ma anche il suo cugino calcetto a cinque trovano spesso asilo questi munifici benefattori del 3 per 2. Del nero e non come colore della maglia. Ci importa davvero? No, se ci fa salire di categoria o alzare una coppa di latta.
Un serio complimento all’unico articolo reale sulla vicenda. Sono stato per anni dirigente della società in questione e conosco le magagne del calcio dilettantistico e nel dettaglio dei rossoblu pometini. Mi viene istintivo ricordare il famoso discorso di Craxi alla Camera per giustificare le bustarelle che ricevevano i partiti politici, nel mio caso non per trovare un assoluzione alla squadra che ho amato per anni, ma per rendere noto un sistema presente in tutto il calcio dilettantistico mantenuto da fatture false, soldi riciclati etc.. La federazione è logicamente consapevole e connivente poiché composta perlopiù da dirigenti di società stessi…… Spero quanto espresso dall’autore non resti una voce clamante nel deserto….