Alessia Discaro

C’è stato un lungo periodo nel calcio attraversato dai così detti “folletti terribili”. Quei giocatori che aiutati da una grande tecnica individuale e leve corte riuscivano a saltare in dribbling l’avversario in marcatura. L’evoluzione fisica del gioco li ha quasi fatti scomparire, niente più Rui Barros.

A meno di non frugare con attenzione nelle file del futsal femminile, si quello di serie a in Italia. Alessia Discaro è una di quelle giocatrici la cui voce s’inserisce esattamente nella dimensione sonora del suo fisico. Quando puntualizza di essere nata nel 2005, automaticamente cerco vanamente di ricordare cosa facevo in quell’anno.

Alessia non solo non inciampa nei suoi piedi, ed è già una caratteristica rilevante nel panorama “under” del futsal femminile italiano, ma con quelli è capace di giocare con e per la squadra. Sono un brutta persona, mai negato ed è per questo che le chiedo subito com’è giocare contro delle donne che la sovrastano in chilogrammi e centimetri.

La risposta che sembra all’apparenza scontata, vi assicuro che non lo è: “Vado costantemente in palestra”. Lo dice con quel tono della voce che è un misto tra il “mi piace farlo” e “devo farlo perché è necessario”. Provate a guardare una partita di serie a di futsal femminile in Italia e ditemi quante atlete non frequentano quanto dovrebbero una palestra.

Provo a ficcanasare nella sua vita, quella che non ruota intorno al pallone. Dopo qualche istante nel mezzo della nostra conversazione mi ritrovo a pensare: “resta poco, quando hai un sogno.” Giusto così, se a vent’anni non investi tutta te stessa in qualcosa, forse non ti importa abbastanza. Alessia invece ha messo tutte le sue fiches sul tavolo ed ha scommesso forte su se stessa.

Quello d’inseguire un sogno è sempre un viaggio, non uno facile. Periglioso lo definirebbero quelli che amano le parole che non dovrebbero essere desuete. Il suo coraggio da solo però non basta, servirebbe quello di chi scommette sul talento, sulla gioventù. Occorrerebbe l’intelligenza sportiva necessaria a riconoscere che un talento futuro e meglio d’un elefante in viaggio verso il suo cimitero sportivo.

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