Da pracinha da vila lizabel

Scoprire il beach soccer somiglia a quando t’accorgi che ti piacciono le fragole ma non le hai mai mangiate prima, così perché non ne avevi idea. Quando m’hanno convocata confesso di non aver avuto nemmeno idea che esistesse una nazionale italiana di beach soccer.

Però alla maglia azzurra è difficile non rispondere presente, rappresenta non solo un dovere ma anche un onore. Dieci anni spesi inseguendo un pallone, insomma poco inseguendolo di solito l’ho attaccato al piede. M’è capitato spesso d’essere la donna del primo gol, in serie a per una neopromossa, nella “champions”, nella supercoppa.

L’aver contribuito a qualificare questa nazionale per l’europeo e le olimpiadi mi riempie d’orgoglio. Stesa sul letto a guardare fuori da questa finestra penso che davvero non c’è una cosa che non riesco a fare. Sembra arroganza lo so, forse però è solo consapevolezza, delle mie forze e della donna che sono. In un mondo dove in tanti pensano di essere e in fondo non sono.

Le realizzazioni personali non sono solo quelle sul campo. I gol li vedono tutti, la crescita quella personale che ti fa capire quanto puoi sopportare, che spinge il limite personale più lontano e più in alto, quello mi rende orgogliosa quasi quanto essere ancora capace di sorprendere gli altri.

In questo anno che è appena passato ho sentito l’eco di altre esperienze, quelle con gli spalti pieni con gli ultras quelli veri, capaci di continuare a fare il tifo per te piuttosto che contro gli avversari. D’un mister che non ho mai dimenticato e resta per me il più forte di tutti: Pellegrini. Questo è l’unico nome, come è unica la persona per me.

Lo so che sembro sempre seria, quasi arrabbiata ma in quel rettangolo di gioco riesco ad essere solo così. Fuori, giusto appena fuori da lì, ecco che il mio cuore si scioglie e vorrei poterlo fare a pezzi per lanciare ogni singolo pezzo verso i miei tifosi, quelli più piccoli. Per ricambiare ogni singolo abbraccio.

Il futuro resta sempre una incognita, aspetto di viverlo e d’ascoltarlo, nei palazzetti pieni, nei sorrisi dei bambini a bordo campo e nei gol, possibilmente miei. Per continuare a giocare come ho sempre fatto. Come se fosse il campetto in cui giocavo da bambina e non il parquet lucidato e pieno di luci.

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