La seconda categoria nazionale di futsal femminile ha finalmente, una denominazione più in linea con la sua realtà agonistica: si chiamerà Serie B. Applausi. Alla Divisione Calcio a 5 che se da un lato s’inventa la A2Elite, perché certe abitudini sono dure a morire, per una volta mostra il dovuto riguardo verso il movimento femminile.
Ora certo le squadre promosse dal regionale non dovranno ripensare i loro slogan, le magliette “ArriviAmo” potranno essere messe via fino alla promozione nella “vera” serie A. Si tratta in fondo d’aspettare una trentina di partite.
La “serie c con le trasferte lunghe” è chiaramente lontana per contenuti tecnici dalla prima divisione e più vicina a quella che la precede. Un percorso veramente breve quello che permette a un club di assurgere alla gloria e anche piuttosto a buon mercato.
La cadetteria come concetto, la B come idea, è paradossalmente molto più appetibile di fingere che sia la A ma con un numero dopo. L’avvicina questa denominazione alla sua vera natura. Cioè una C ma più complesse e costosa. Ne indica la lontananza dalla massima serie, per una penuria di denaro e talento.
Giocare in B, di futsal femminile, non è solo una questione sintattica. È una questione sportiva. Sei distante eoni dalla serie maggiore, com’è in realtà. Un presidente di una società di futsal femminile che riceve dei messaggi di “benvenuto in A” dovrebbe rendersi conto che quelli in realtà sono i suoi competitor.
Squali pronti a sbranare il nuovo venuto. Nella catena alimentare sportiva, le neopromosse al netto di quelli che spendono trecentomila euro nella speranza di una coppa di simil metallo subito, non hanno le risorse tecniche per competere davvero.
Dov’è questo ampio bacino di talento al femminile? Nella Future Cup, vero?
Almeno un passo lontano dal pressapochismo dilettantistico è stato fatto, con coraggio dalla Divisione Calcio a 5. Visto che non è difficile fare UNA cosa giusta?