Ritorno alle Final Eight

L’ultimo consiglio direttivo della Divisione Calcio a 5 ha determinato le date ed il formato delle manifestazioni per la prossima stagione di futsal italiano. In ottemperanza alla riforma dei campionati che ha visto allargarsi ulteriormente il numero di squadre che partecipano ai campionati nazionali.

Se nel maschile c’è la conferma della formula della Final Four per la Coppa Italia, nel femminile si torna all’antico. Ci sarebbe da interrogarsi sul perché, ma la risposta potrebbe essere più scontata di una intervista post partita.

Tornare alla vecchia formula, per la Serie A Femminile che dovrebbe contare ai nastri di partenza 14 squadre, equivale alla esclusione di solo sei squadre dalla Coppa Italia. Un po’ come se fosse più importante permettere a più squadre possibile di scrivere sui social: “storica partecipazione alla Coppa italia” che la qualità dell’evento stesso.

Sa distanza tra l’ottava in classifica  la prima delle due squadre che hanno disputato i playout in questa stagione è stata di tre punti. Sapete qual è stata la differenza tra la quarta e l’ottava? Trentatré punti. Vi offro un altro numero interessante. La quarta classificata e la quinta sono sperate da sedici punti.

Evidentemente l’allargamento della formula, questo ritorno all’antico ha probabilmente più uno scopo politico sportivo che agonistico. Non si spiegherebbe altrimenti la ragione di mantenere la formula al maschile.

C’è una dicitura che incuriosisce ulteriormente nella comunicazione ufficiale della Divisione Calcio a 5. La A2 femminile, viene definita “seconda categoria nazionale”. Come s’è fosse in preparazione una nuova dicitura, così come accaduto per la A2 Elite nel maschile?

Avremo una A2 “ma non troppo”, una “Quasi” A, una A2 “Gold”, una “Mai C”. Se vi chiedete perché questa mania nel non chiamare Serie B, le serie minori, la spiegazione è più sorprendente della nomenclatura delle categorie. 

“Se faccio la A (anche 2) è più facile trovare gli sponsor”. Immagino che Gino proprietario del pizzicagnolo sotto casa sia profondamente turbato dallo sponsorizzare una squadra di B. L’imprenditore che vi chiede di adoperare pratiche fiscali che oltre ad essere altamente discutibili, costituiscono un reato, immagino sia terrorizzato dall’avere un rapporto di sponsorizzazione fradulento con una squadra di B.

Volete mettere il prestigio di frodare il fisco con una squadra di A2 Elite “laccata d’oro” invece che con una di B. Indubbiamente la Guardia di Finanza ne sarebbe profondamente colpita e il magistrato disposto per questo a concedere le attenuanti generiche.

Il fine ultimo di chi organizza dei campionati è renderli più competitivi possibile, d’innalzare la qualità dello spettacolo fino a renderlo più facilmente promuovibile. Non è un impegno facile, fanno fatica gli sport professionistici, immaginate l’immane sforzo necessario per promuovere uno sport altamente dilettantistico. Sicuri che una Final Eight promuova lo spettacolo più di una Final Four?

Alla fine temo che in questa nuova fase della vita degli sport agonistici, intesi come business, la politica sportiva rappresenti spesso l’ostacolo maggiore, perché la raccolta di voti democraticamente passa attraverso un largo consenso. Quale strumento di consenso più potente del concedere un po’ di gloria a tutti quelli che investono nella disciplina? Nessuno.

Una targa, una coppa, un titolo su qualche pagina web, una cerimonia nel salone del Coni e via così, divide et impera. I romani c’hanno costruito un dominio durato secoli è una formula che funziona benissimo. Per i tempi più moderni e repubblicani, la pratica dorotea dell’accontentare tutti è possibile, complessa e di successo. Almeno fino a quando il baraccone regge.

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