Destinazione Zagabria

Sul taccuino c’è una solo indicazione: Zagabria. Segue poi un appunto: paradosso dei viaggi in nave, s’impiega più tempo. Così il viaggio si dipana su fasce d’asfalto grigio invece di onde e mare troppo blu per sembrare vere.

Salutare Piazza Unità d’Italia e come ritrovare i vecchi amici e anche i postumi di serate con troppo alcool dentro. Slovenia e poi Croazia, in un susseguirsi di accenni al Nord Europa. Il verde diventa sempre più intenso, la vegetazione sembra essere composta di soli alberi di natale e se chiedi una bistecca probabilmente è di cavallo.

Perché Zagabria, per il basket, il calcio? No. Il futsal. Dal 2012 MNK Futsal Dinamo è l’unico club professionistico nella disciplina “fan owned”, i proprietari sono i tifosi. Non un gruppo di tifosi qualsiasi, i Bad Blue Boys. Per quelli con poca familiarità con la scena ultras europea i BBB sono il principale gruppo di tifosi della Dinamo Zagabria.

Attenzione. Non confondiamoli con i suonatori di tamburi da banda di paese, con i vecchi del dopolavoro, con gli occasionali con i bimbi al seguito. Questo gruppo è una FIRM nella sua accezione gergale, hooligans. Quando Bleacher Report compilò la lista dei sedici gruppi ultras peggiori al mondo, in quell’elenco comparivano i Bad Blue Boys.

Per anni i membri dei Bad Blue Boys hanno cercato di influenzare il modello societario della squadra di futsal la GNK Dinamo, il club diretta emanazione di quello calcistico, proponendo una gestione più democratica della società. Nel 2014 prendono atto della reticenza ad accettare la loro proposta da parte delle componenti dirigenziali.

Stabiliscono così un contatto con i dirigenti dell’MNK, come loro tifosi della Dinamo Zagabria e che già adottano un modello societario basato sulla democratica elezione dei membri del consiglio direttivo. Propongono inoltre di attuare un programma che riattivi l’attività della prima squadra e rivitalizzi nella città l’abitudine d’assistere alle partite di calcio che sembra scemata, partendo da un mercato più ristretto, il futsal.

La partita per il 47esimo anniversario dell’unico trofeo continentale vinto da una squadra croata vede sfidarsi su un campo da futsal le vecchie glorie e gli attuali giocatori della squadra di calcio e quella di futsal. Quattromila spettatori riempiono gli spalti per tre ore cantano interrottamente durante la partita. Per la cronaca dopo 180 minuti, l’incontro finisce 4-4.

Negli anni successivi l’MNK diventa una forza preminente della disciplina sul territorio nazionale. A rendere particolare la vicenda sportiva della Dinamo non è solo quello che accade sul campo. I trofei, le patacche di simil metallo, gli stemmi da cucire sulla maglia, passano in secondo piano. Lo spettacolo è sugli spalti. Da un decennio ormai, ininterrottamente.

Dom sportova è un “impianto sovietico”. Di quella brutta architettura socialista della Jugoslavia di Tito. Palazzetto polivalente, vecchio di cinquant’anni. Si piega e trema il cemento dei gradoni e sembra quasi sgretolarsi quando cinquemila persona saltano all’unisono. I fumogeni blu nascondono il campo e quando l’enorme bandiera con il bulldog copre la parte d’impianto con i tifosi più caldi non ti resta che ascoltare.

Gli ultras hanno un suono diverso, ritmato e i cori da stadio finiscono con il somigliarsi ovunque in Europa, indipendentemente dalla lingua. In un palazzetto come in uno stadio gli occasionali li riconoscete ascoltandoli prima che osservandoli. Basterebbe lo striscione Blue Bad Boys a segnalarvi che su quegli spalti “si canta davvero” che quello non è solo tifo, è quasi religione.

I Blue Bad Boys non hanno solo dimostrato che è possibile per dei tifosi gestire un club professionistico. Hanno mostrato a tutti che non esiste una tifoseria del futsal ma che è possibile tracimare in un palazzetto quella del calcio e viceversa. La fidelizzazione dei tifosi di un club passa dalla sua storia e quale storia più nobile può esserci in Croazia di quella della Dinamo. Se volevate rispondere quella dell’Hajduk non vale perché allora siete di Spalato e forse anche un po’ di Praga.

Exit mobile version