L’idromele è meglio della birra. Non solo perché è miele fermentato, soprattutto perché non c’è bisogno di mastri birrai. Tenete a mente questa affermazione, vi tornerà utile nella lettura.
C’è una innegabile bellezza nella post-season, di qualsiasi sport. Le partite hanno un significato definitivo e immediato. Inappellabile. Ci si può certo affannare nel ricercare le ragioni, a spiegare. Se prestate davvero attenzione, quelli che spiegano sono spesso quelli che hanno perso.
È anche un tempo in cui, certe questioni diventano più pruriginose e palesi. Nel corso della stagione, decisamente nel campionato maschile ma spesso anche in quello femminile, si sono registrati episodi controversi, alcuni hanno avuto anche strascichi da Fight Club.
Curioso rilevare che in molti degli episodi più discussi della stagione, a correre lungo le linee laterale, ci siamo spesso i medesimi fischietti. C’è una conversazione tra Iverson e un arbitro NBA che rappresenta perfettamente l’umanità dell’arbitro: “If I miss it, I miss it”. “se lo mancata (la chiamata), l’ho mancata” e Iverson risponde: “vorrei poterlo dire anche se sbaglio (miss) un tiro”.
Si sbagliano i gol, si sbagliano i passaggi. Ma un giocatore che sbaglia tanti gol, finisce a giocare in una categoria più bassa, una che è probabilmente più adatta a lui. Com’è che invece per gli arbitri si finisce ad arbitrare partite importanti? Viene lecitamente da chiedersi: esattamente cosa scrivono sui loro report quelli che vengono a valutare le prestazioni dell’arbitro? Quanto lievito ci vuole nella birra artigianale? Ecco che poi uno finisce con il preferire l’idromele.
Resto fedele al mantra: “se fai decidere la partita dall’arbitro, vuol dire che stai giocando male”. Senza dimenticare però che ci sono anche fischietti con le cataratte, indotte, oppure colpevolmente non rilevate nella visita medica. Compito ingrato quello dell’arbitro, senza il quale non si potrebbe giocare ma che appunto dovrebbe far giocare, non decidere del risultato.
Mentre la Serie A maschile s’avvicina alle semifinali, quella femminile sembra già proiettata alla finale. Sebbene in entrambe si respiri già l’aria della nuova stagione, tra chi svuota l’armadio per il cambio di stagione e chi s’accasa già in una nuova destinazione.
Tutto sembra estremamente importante, fondamentale. Almeno se resti abbastanza nella bolla del calcetto. Capita però di percorrere la strada verso sud, quella che nella mia città attraversa il fiume e corre su un ponte che pomposamente si chiama D’Annunzio. Sul cavalcavia sovrastante trovo appeso uno striscione.
Di quelli fatti con un telo bianco da due soldi, imbrattato con una vernice spray blu da pochi euro. Recita: “Tutti allo stadio”. In città, la squadra di calcio, cerca di tornare in Serie B (nel calcio non si vergognano di chiamarla B) ed è lì tutta l’attenzione. Biglietto per il Cornacchia: 14 euro in curva, prevendita compresa, borghetti escluso. Altrove s’è appena disputata una semifinale scudetto.
Notte. Sipario.
Anche se al mattino rubo il posto vicino ai sorrisi, quelli di chi viaggia per follia lungo mezza Italia, di chi mi racconta una storia di asini e Noè. Alla fine è tutto qui, in questi istanti lontani, forse brevi, troppo e nelle loro storie. Quelle che orientano un risultato ma riescono poi a prescinderne, meravigliosamente.