A caccia di storie

“Il peggior cieco è quello che guarda soltanto il pallone” così scriveva Nelson Rodriguez, raccontando della sciagurata seleção sconfitta dall’Uruguay di Schiaffino e Ghiggia. In una epoca in cui lo sport si struttura per raccontarsi da solo, per rendere ripetibile lo straordinario e programmabile l’incredibile, guardare solo il pallone sembra un crimine.

Lo sport è divenuta una realtà separata che tende a rasare ogni asperità nei calciatori per trasformarli in una superficie piatta sulla quale proiettare i brand, in una sorta di nuovi televenditori. Tra muri di poster pubblicitari, andare a caccia di storie è l’unica scelta possibile.

Anche quelle scomode, come quelle degli stadi costruiti per un mondiale d’inverno sui corpi degli schiavi che li hanno eretti. Di sconfitte casualmente vantaggiose per una delle parti, di accordi presi e disattesi.

In una epoca di emozioni ritardate dal var e in genere di troppi ritardati. In una epoca sportiva di addetti stampa senza notizie e di pubblico come clientela, c’è ancora spazio per le storie. Ma scriverle costa tempo, quel tempo che sfugge in avanti.

Il futsal non è diverso dal suo cugino più famoso, il calcio. Solo più grezzo e caciarone. Spesso ne diventa quasi parodia. Rischiando di raccontarsi come in una sorta di discount della notizia. Nel quale il risultato di serie c è trattato come se fosse quello della A. Questa è una disciplina che ha paura di chiamare la serie B, per quello che è, allora s’inventa perfino la A2 elite. Una disciplina così democristiana, che non ha bisogno di morire dorotea. Una grande famiglia, spesso disfunzionale, dove però è importante puntualizzare che è tutto bellissimo.

Raccontare è guardarsi intorno come se si stesse guardando indietro. Mentre lo sport contemporaneo sembra solo capace di guardare solo avanti. Importante guardare avanti, altrimenti si rischia di schiantarsi.

Piuttosto che un produttore seriale di finzione, meglio provare a trovare le parole adatte a ricordare. Dal latino re-cordis, tornare a percorrere la strada del cuore. Cuore come sede della memoria, com’è che dicono gli inglesi “by heart”, “a memoria”. Sempre consapevole d’essere sempre e comunque testimone inaffidabile. Sempre meglio d’essere un idiota dell’oggettività.

Sarò sempre vicino ai vinti e agli sconfitti, sarà perché lì c’è più posto e forse perché sono sempre ricchi d’emozioni quei momenti vicini ai “nessuno, figli di nessuno e padroni del niente”. Di quelli che non sono riusciti a salire sul carro dei vincitori ma loro malgrado devono battergli le mani al passaggio.

Il futsal, come il calcio è lo specchio del mondo e della realtà. Un’allegria triste. Spero di trovarla una storia da accompagnare con il mio pensiero e le mie parole, che saranno sempre più vicine agli sconfitti che tardano a lasciare una arena vuota.

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