Being Zoee

Zoee ha una voce, non capita di sentirla spesso ma è lì. Dietro a quello sguardo che sembra sempre cercare di tenere a distanza il suo interlocutore e allo stesso tempo attenta a quello che le accade intorno.

La sua voce ha un accento marcatamente australiano, è quindi quasi in inglese come lo saranno molti dei pezzi di questa storia. Inevitabilmente alcune espressioni sono estremamente caratterizzate dalla lingua nella quale vengono pronunciate.

Se a raccontare un giocatore fosse sufficiente parlare delle sue movenze sul campo, per quanto eleganti possano essere, oppure dei suoi gol probabilmente finiremmo a descrivere automi e non esseri umani.

Zoee ha un talento sportivo che tracima i suoi diciannove anni, quello però l’avete potuto ammirare dal vivo o davanti allo schermo del vostro monitor, di qualsiasi dimensione esso sia.

Per me ogni racconto nasce come espressione della voce, non sono per questo sufficienti quelle che si formano su uno schermo. A meno che non vogliate somigliare ad un modello linguistico come quello di Open AI. Dovevo trovare quella nota.

Zoee ha appena terminato l’allenamento, è un simil freddo pomeriggio milanese, ha i capelli lunghi ancora bagnati che la fanno somigliare ad una normalissima diciannovenne.
Ha un viso diverso Zoee, rispetto alla ragazzina che avevo incontrato sul parquet di Pescara una manciata di mesi or sono. La sua voce ha un suono e un colore diverso, l’espressione del suo viso racconta molto di più delle sue misurate parole.

Semplicemente spinto dalla curiosità e dalla risposta ad una mia domanda, cerco di dare forma alla Zoee che ho di fronte. Quella stanca ma serena, quella che sembra non avere più un peso sul cuore.

Quel “non sono timida, sono riservata” sparato fuori come se fosse una risposta già pronta ad una domanda che le viene rivolta troppo di frequente è seguita da uno sguardo di luminosa intelligenza. “She is not retarded i want to know more”.

Randy Feltface, un pupazzo stand up comedian, era l’unica cosa proveniente da Perth che conoscevo prima di parlare con Zoee. “Good representation of Perth” è stato il suo commento. Ho subito pensato alle parole di alcune sue compagne: “once she lets you in she is actually very funny”.

Riconosco i muri spogli di case che non sono casa. La lingua differente, quei segni d’un lavoro tanto in campo e fuori e del poco spazio che resta per dare corpo ad un sogno. Di quel profondo disagio di trovarsi catapultati in un mondo diverso e quella sensazione d’angoscia che deriva dal sentirsi un piede piantato nel petto. C’è ancora una traccia ai margini del suo serrare le labbra quando si racconta. Ci sono stati quei momenti in cui visitare Milano era un viaggio su Google Maps & Streets anche se sei lì.

“È stata dura”. Ancora una volta è la nota nella sua voce a raccontare quanto siano sincere quelle parole, perché ho riconosciuto quel tono, tra il rassegnato per il passato e lo stupirsi per aver oltrepassato quella collina emotiva. 

Ti ricordi quella frase del libro? “I can’t see a way through” e il cavallo risponde “Can you see the next step?”. il ragazzo dice “Yes” ed il cavallo dice “Just take that”.  Zoee è anche la capacità di credere, senza vedere, d’affidarsi a quelli che genuinamente le vogliono bene senza che ce ne sia un motivo particolare.

Zoee non è semplicemente il miglior talento italiano under 20, per quello che mostra sul campo. Lo è diventata per quello che è riuscita a costruire fuori dal rettangolo di gioco. C’è qualcosa di diverso nel suo modo di guardare al mondo intorno a lei, ora.

“Avevo un lavoro da svolgere, un compito da assolvere”. La Coppa Italia under 19 alzata al cielo da assoluta dominatrice, l’essere ignara che esistesse quel premio MVP disegna una cornice perfetta intorno alla donna più che all’atleta.

Sapete cos’è ancora più difficile in un ambiente nel quale tutti voglio apparire e in pochi sono disposti ad essere? Essere appunto. Atleta di quelle che s’allenano sempre al 100 per 100 anche se sanno che non giochieranno mai. Di quelle che non mollano anche se potrebbero. di quelle che non ne nascono più ed è ancora una sorpresa che ci siano. Vorrei fossero solo parole mie ma non lo sono le ho prese a prestito da una donna, lì.

Vorrei non fosse stato necessario scavare per trovare Zoee, quella bimba diventata donna: divertente, loquace, che non ti fa mai sentire a disagio, indipendente. Ma forse è quello il destino delle pepite d’oro, devi sporcarti le mani per trovarle.

Qualsiasi sia il futuro che Zoee sceglierà di percorrere, questa stagione l’ha cambiata per sempre, in modi che scoprirà solo quando, tra qualche anno, ripenserà a questi momenti. Being Zoee is a bless.

 

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