La sindrome Trevisani

Qualche anno fa, quando la rivista Contrasti non era ancora parte della famiglia del Guerin Sportivo, su quelle pagine digitali si poteva leggere (si può ancora) una geniale esegesi dell’archetipo narrativo di Riccardo Trevisani.

Anni dopo quella narrazione narcisistica, da cocco della maestra, sembra essere tracimata ovunque, dalle trasmissioni istituzionali in Rai fino ad Eleven Sports e quello che è peggio anche negli streaming sportivi più caserecci.

“Trevi, più che diminuire le parole, ne aggiunge di nuove ogni domenica (autentici neologismi accolti dagli ascoltatori con enfasi petalosa). Così, coniugando alla bravura di telecronista (a livello di dizione e conoscenza calcistica, s’intende) una marcata dose di narcisismo, spesso Trevisani commenta giocate normali o normalissime con lo stupore di chi ha appena assistito alla Rivelazione del Signore. “Nietzsche è impazzito, ma se l’è meritato”, affermò un giorno CB. Ecco, Trevisani ci fa impazzire, e noi non ce lo meritiamo.”

Non c’è bisogno di trovare nuove parole se qualcuno ha già espresso perfettamente un concetto. Ricordo che Trevisani ha le stesse radici di Piccinini. La scuola di Michele Plastino che ha creato nel tempo ottimo telecronisti e autentici mostri. Siamo di fronte a qualcuno capace di trasformare anche il passaggio laterale più elementare in un gesto di raffinata scuola olandese.

“Un conto è coinvolgere lo spettatore, un altro è travolgerlo straparlando del gesto tecnico, del gol “visto prima“, di passaggi scontati decantati come visioni profetiche.”

Tutto questo nelle occasioni più innocue della partita, ripetendo ossessivamente un “visto” che suona quantomeno idiotico rivolto appunto non ad un ascoltatore ma a qualcuno che osserva appunto le immagini.

Essere orfani del sobrio saluto di Sandro Ciotti: “Soltanto dieci secondi per dire che quella che ho appena tentato di concludere è stata la mia ultima radiocronaca per la Rai, un grazie affettuoso a tutti gli ascoltatori, mi mancheranno”, forse è solo un segno del tempo che passa o della diffusa ignoranza che attanaglia lo sport, tutto.

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