Caffè Corretto – La C e l’A2

La serie c di futsal femminile è quel dimenticabilissimo campionato nel quale si disputano al massimo due partite l’anno e ad una di queste mancare dalla linea laterale è per me, un peccato sportivo.

In una partita, tre punti e una promozione. Quella in A2 femminile, nella “serie c ma con le trasferte lunghe” e potrei oggi aggiungere un costo d’iscrizione più alto. Una delle due squadre in campo ha il nome più improbabile possibile “centrostorico” riferito ad una cittadina che nel suo centro non ha nulla che si possa definire storico.

Forse la storicità è riferita all’età di alcune ma trattandosi di donne atlete, questa potrebbe essere un collegamento pericoloso da stabilire. In questa partita c’è tanta corsa, tanti contrasti nei quali si confondono caviglie e pallone e alla fine c’è chi giustamente festeggia e chi invece resta sul terreno di gioco attonito e stremato.

C’è più pubblico su questi spalti, scoprirò poi, che nel tempio della pallamano locale a guardare la Serie A di futsal femminile. Perché lo sport, anche il quasi calcetto femminile, quando diventa una questione di “famiglia”, sembra essere estremamente importante.

Ci sono in campo mamme, dottori, autisti, studentesse e varia umanità. Tutto dannatamente serio almeno per questi quaranta minuti misurati a mano da un arbitro che sembra sempre troppo giovane, per dirigere una partita di donne.

Amerò sempre stare seduto a due passi dalle panchine, a ridosso del campo anche se qui, in serie c, si rischia la vita, realmente. Il pallone viene calciato spesso in una generica direzione che però poi si rifiuta di seguire.

“Perché la dobbiamo perdere?” Arriva dalla voce di uno degli allenatori una domanda che è possibile rivolgere quasi seriamente, solo ad una squadra di donne. Perché con loro il corollario di indispensabile blasfemia non funziona bene. Diversità di genere.

Ci sono volti che non riconosco, altri dei quali conosco anche le storie di vita e ritrovo, credo si chiami Alice, a dirigere la squadra dalla sua posizione di ultimo come se di anni non ne avesse più venti. Sul campo s’intravedono ancora tutte quelle scintille di tante carriere che sarebbero potute essere e invece la vita s’è messa di traverso.

Alla fine non la perdono, salgono di categoria oppure potrei azzardare a scrivere, tornano in una categoria nazionale. L’ultima volta l’avevano onorata ogni oltre ragionevole previsione. Se c’è qualcosa in questo angolo remoto di sport che è davvero romantico è l’abnegazione ad una disciplina che non regala loro nessun alloro, nessuna gratificazione finanziaria.

Non le capirò mai loro sul campo ma posso provare a capire gli amici, i conoscenti e i familiari sugli spalti. Perché a loro importa davvero, perché i sentimenti si mischiano al sudore e ogni sforzo è tempo tolto che non ti viene restituito.

La gioia alla fine è diversa, suona più come liberazione, felicità per essere scampate a qualcosa piuttosto d’un traguardo tagliato. Quello è un sentimento strano perché davvero s’irradia tutto intorno a loro e si finisce misteriosamente ad essere felici per loro e con loro.

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