Come si trasforma un evento perfettamente dimenticabile come la finale del torneo femminile NCAA, nella partita di basket più vista della stagione comprese quelle NBA? È necessario seguire una ricetta, utilizzare gli ingredienti giusti e sperare che non bruci tutto.
Gli ingredienti ideali sono Caitlin Clark dell’Università dell’Iowa. Probabilmente il miglior talento degli ultimi 25 anni. Capace di frantumare ogni record possibile, letteralmente tutti. Nella semifinale contro South Carolina la Clark è marcata stretto da una giocatrice che però non riesce mai a contenerla.
La tripla doppia di Caitlin la porta a mimare il gesto del “non mi vedi” in faccia alla sua avversaria. È “trash talking” puro. Sul campo è normale, si perpetra ed è una parte del gioco. Della cultura del gioco. Ma sei in diretta nazionale durante le Final Four e ti esibisci davanti ad una platea planetaria.
Tra quelle che hanno notato e registrato il gesto c’è: Angel Reese. Afroamericana, transfer dall’Università del Maryland che l’aveva scartata dopo un infortunio al piede subito il primo anno. Così Angel sceglie di trasferirsi alla Louisiana State University, LSU.
Anche la Reese se la cava bene con i record sportivi ma a differenza della Clark è anche “outspoken”, se le fate una domanda la risposta potrebbe non arrivare dal libro delle risposte inutili dei giocatori. Viene accusata di essere troppo “ghetto” and “hood”. Di non vergognarsi cioè di venire da una periferia anzi, d’essere fiera di rivendicare quelle radici.
Ja Morant arriva in suo soccorso, dopo questo tweet piovono quelli di solidarietà di altri giocatori afroamericani. Morant poi verrà sospeso perché in una live su IG sventola una pistola mentre è all’interno di uno strip club a tarda notte.
Alla Reese questa storia del “you can not see me” non è poi piaciuta molto. Lo dice apertamente davanti alle telecamere, microfoni e taccuini. La macchina dell’intrattenimento sportivo a stelle e strisce si mette in azione e costruisce l’intera narrativa della finale intorno alla rivalità tra le due giocatrici.
Nota a Margine: nel calcetto a cinque saponato, si sarebbe promossa la narrativa dei buoni sentimenti, delle amiche da una vita, del libro cuore. Tutto rigorosamente posticcio e in quanto tale interessante come fissare un muro bianco.
Nella finale la Clark registra l’ultimo record che le mancava: segna il record di punti totali realizzati in una torneo universitario. Tuttavia non basta, Iowa soccombe nel punteggio. LSU è implacabile in ogni aspetto del gioco. Mancano quindici secondi su cronometro, la partita è finita, il divario incolmabile.
Angel Reese passa di fianco a Caitlin Clarke e le mima il gesto del “non ti vedo”. Per essere sicura che non la stia ignorando le gira letteralmente intorno mimando più volte il gesto. Quando se la ritrova esattamente davanti le indica l’anulare, il gesto dell’anello.
Ci sono due tipi di persone a questo punto della storia. Quelli che ammettono che si sarebbero comportati esattamente come la Reese e quelli che mentono. Se dalla competizione, qualsiasi competizione togliete il trash-talking, il desiderio di rivalsa, l’agonismo feroce in tutte le sue forme, non avrete altro che una tenzone.
Un ballo delle debuttanti coreografato. Lo sport fortunatamente, quello rilevante non è così. In campo la battaglia sportiva è vera, dura e leale. Il moralismo è una piaga senza confini, tanto da tracimare spesso anche nello sport. Per quello c’è sempre spazio in un convivio di educande.