Agli eSports non servono le Olimpiadi

Di recente il CIO ha annunciato la partecipazione di alcune discipline eSports alle prossime olimpiadi. In uno slancio consueto quanto desueto di politica sportiva, nella sua peggiore accezione, i titoli ammessi come discipline sportive digitali non hanno alcuna attinenza con la realtà della scena competitiva.

Un ragguardevole settantacinque per cento dei videogames ammessi come sport alle olimpiadi sono prodotti dalla stessa software house. Il presidente di quell’azienda è poco casualmente anche il presidente del comitato olimpico nazionale sud coreano e del CIO.

Il CIO non è interessato agli eSports in quanto discipline. È interessato a catalizzare l’attenzione di quel pubblico. Non sono gli eSports a diventare famosi perché partecipano alle Olimpiadi. È la manifestazione a cinque cerchi interessata a beneficiare dell’iniezione di pubblico in una fascia d’età in disaffezione all’evento.

Quanto sarà rilevante essere medaglia olimpica negli eSports? Probabilmente la stessa che ha per un calciatore o per un tennista. Nessuno si chiede quante medaglie d’oro olimpiche ha vinto Ronaldo o quante ne ha vinte Nadal. Si contano le Champions League e i Roland Garros.

Il Badminton è sport olimpico dal 1992. Sapete quanti praticanti conta il badminton in italia? Duemilaquattrocentotrentotto, lo scrivo anche così: 2438. Da oltre trent’anni sport olimpico.
Nel curling, sport olimpico invernale, l’Italia vince addirittura medaglie. Vedete frotte di bambini reclamare come regalo di Natale un “Rat Rink” (sarebbe lo scopettone)?

Nelle loro nicchie regionali, il Curling in Canada quanto il Badminton in Asia, sono una sorta di religione sportiva. Devono la loro presenza alle Olimpiadi in virtù della loro ampia diffusione, del loro seguito. Questo assioma si riflette paradossalmente nell’avversione di discipline sportive già rilevanti a partecipare alle Olimpiadi con i loro migliori atleti.

Si è dovuto attendere il 1992 per vedere una squadra di stelle NBA partecipare al torneo olimpico, anche in virtù dell’ossessione dilettantistica del CIO. Nel baseball è andata anche peggio, fino al World Classic di qualche anno fa, i migliori atleti della Major League Baseball non solo ignoravano l’evento ma proseguivano tranquillamente nella loro stagione agonistica.

Le olimpiadi non sono l’unguento miracoloso che rende uno sport noto, diffuso o addirittura rilevante. Non lo sono le competizioni internazionali. Accade l’esatto contrario. La partecipazione ad eventi planetari è la meta d’un percorso, l’eventuale riconoscimento formale, una sorta di investitura nobilare.

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