Il calcio femminile è uno sport all’apparenza senza storia. Riformulo meglio. Ha una di quelle storie che si possono perfettamente ignorare mentre al bar si discute sulle soluzioni tattiche della Roma di Mourinho. Il calcio femminile europeo ha una di quelle epiche, come accade spesso in quelle con protagoniste femminile, che crescono, fioriscono e splendono nel bel mezzo del nulla.
Gli anni ottanta del secolo scorso volgevano al termine. Esistevano due Germanie, quella federale ad ovest e quella democratica ad est. La cortina di ferro era una realtà concreta e la professione di mio padre m’impediva d visitare quasi metà dell’Europa.
Dall’altra parte del muro di Berlino, bagnata dallo stesso Havel che attraversava la capitale della Germania Est c’è Postdam. I tedeschi l’hanno sempre chiamata la Versailles teutonica, in una sorta di malcelata repulsione per i francesi.
Centro culturale della Repubblica Democratica Tedesca, con le sue oltre trenta istituzioni universitarie, i suoi quasi duecentomila abitanti sono molto orgogliosi di vivere nella cittadina con più siti patrimonio dell’UNESCO, al mondo.
Proprio lì, incastrata tra i palazzi del Re di Prussia e i suoi bellissimi parchi, gioca ancora una delle squadre più leggendarie del calcio femminile europeo. Probabilmente però non ne avete mai sentito parlare.
Le Turbine Potsdam nascono quando un gruppo di impiegate nella locale azienda energetica si convincono di poter ottenere sul campo di calcio risultati migliori di quelli che otteneva allora la squadra maschile. Una squadra aziendale insomma.
Un ingegnere per scelta, allenatore per vocazione decide di assumere l’incarico: Bernd Schröder. Nel giro di pochi mesi di quel 1971 vengono gettate le basi di una delle più folgoranti leggende del calcio femminile.
La dedizione di questo gruppo di donne, conduce questa squadra a dominare la scena del quasi sconosciuto calcio femminile all’interno della sfera d’influenza della USSR.
La storia però sta per registrare uno scossone all’equilibro che s’era stabilito in Europa al termine della Seconda Guerra Mondiale. È il 1989, all’improvviso scopro di poter visitare la porta di Brandeburgo, di poter passare oltre il Muro di Berlino.
Le vecchie e rumorose Trabant invadono le lunghe autobahn cariche di valige, la Repubblica Democratica Tedesca inizia a dissolversi. Le Turbine Potsdan non devono più forgiare documenti per poter giocare contro squadre del “mondo capitalista”. Vengono invitate ad un torneo indoor, si di calcio a 5 a Colonia.
Nel giro di qualche ora quelal squadra perde cinque giocatrici. Quando arriva la Bundeliga femminile unificata la compagine di Schröder è in fase di ricostruzione. Età media 22 anni. Non si è mai, pare, troppo giovani per i miracoli sportivi.
Quella squadra vince il suo primo titolo nazionale nell’anno in cui la UEFA inaugura la Women’s Cup, la proto UEFA Champions League Femminile. Le ragazze tedesche spazzano via una avversaria dopo l’altra è scrivono il loro nome nell’albo d’oro della manifestazione.
Quando questa diviene la UEFA Champions League, le ragazze del Potsdam sono invitate alla manifestazione che ora allinea tutti i grandi nomi di calcio europeo al maschile. Arrivano in finale di quella prima edizione “vera” e portano ai rigori quello che diventerà il leggendario Lione femminile.
Sbagliano i primi due rigori, le due migliori giocatrici della squadra tedesca si vedono respingere il tiro dal dischetto, dal portiere avversario. Mentre Bernd Schröder s’avvia in direzione dell’allenatore avversario per congratularsi per la vittoria, il giovane portiere appena diciassettenne delle bianco blu, respinge tre rigori e uno s’infrange sulla traversa.
Il Turbine Potsdam è Campione d’Europa. Quella vera, alza al cielo di una notte impossibile e folle, la Coppa dei Campioni, quella al femminile, la prima in assoluto. L’inizio di una storia è spesso anche la sua fine. Il calcio femminile si professionalizza, le giocatrici vengono attratte dai grandi club.
Frauenfußballclub Turbine Potsdam 71 però non si dissolve. Non smonta. Certo il suo piccolo stadio non è più gremito come negli anni novanta. Non gode dei successi del primo decennio del secondo millennio. La squadra e la società però sono ancora li. Orgogliosamente da 52 anni sono l’unica società calcistica esclusivamente femminile della Bundesliga e tra le più antiche d’Europa ad essere presente senza interruzione nella massima divisione di calcio del proprio paese.
Quando trent’anni fa guardavo ragazzine spilungone tedesche saltare di testa in area dopo un lungo rilancio del portiere donna in una partita di under 14 nel mezzo della Nord Westfalia, non immaginavo sarei finito a scrivere di donne, pallone e altre cose. Non immaginavo che quelle Trambant trasportassero anche storie di sport oltre a speranze e non solo disperazione.
Il calcio femminile resta uno sport minore. La sua forza è proprio nel suo essere piccolo ma non per questo scarso di contenuti. Più difficili da trovare, le sue storie scivolano dimenticate più spesso che in altri sport ma ci sono. Bisogna solo cercarle. Avere la curiosità indispensabile a raccontare. Ci deve importare, davvero.