Quello dell’Olimpico con la Curva Sud vestita a festa che canta come nelle grandi occasioni. Non guardarla su DAZN permette allo spettatore televisivo di godere del pregio della realizzazione del prodotto partita in stile inglese. L’audio ambientale sparato altissimo anche nelle orecchie del telespettatore. Così ad alto volume che i cori della curva, anche quelli d’insulti arrivano chiari come allo stadio.
In una domenica di quelle difficili da dimenticare se si è un abituale della Kop, di quel lato dello stadio che punta verso il porto. Il Liverpool non aveva mai rifilato sette reti al Manchester United. I Red Devils nella loro storia della Premier League non avevano mai subito una sconfitta di queella portata. Liverpool 7 – Manchester United 0.
Incastrata nei ritagli di un tempo sportivo assordante che incalza anche con la NBA, la MLB, la Formula 1, la Indycar, gli sport invernali, l’ennesimo ATP “qualcosa”, trovate lì nel mezzo di questo bailamme sportivo, il futsal. Una disciplina che paga lo scotto di essere minore senza avere sconti da nessuno.
Non quello maschile, che festeggia grazie alla Macedonia del Nord l’accesso all’Elite Round per le qualificazioni al prossimo mondiale. Ma quello al femminile che ha da tempo imboccato la strada della fine della regular season. Lo si capisce anche solo guardando le gambe delle giocatrici, incerottate, bloccate, ferite e convalescenti. Ventuno giornate di impegno fisico richiedono il loro tributo.
Tra campi consumati dal tempo e da altri sport, su superfici altamente polivalenti e tendoni, il campionato è una lunga Dakar, ma di quelle gloriose fatte in Africa e senza GPS. Come in un rally Marathon arrivano alla fine non solo le macchine migliori ma anche quelle capaci di resistere meglio senza rompersi.
Lunedì di futsal che racconta di sorpassi, di squadre imbattute in una stagione regolare che non assegna alcun trofeo. Di record buoni per gli annali, ma con più asterischi d’un libro dei record del baseball. Un lunedì di bar e di giornali, di titoli per Mourinho e Zeman.
Un lunedì che potrebbe un giorno anche nel calcetto a cinque somigliare a quelli di altri sport “veri”. Nei quali chi perde spiega e chi vince festeggia. Lunedì che non somigliano alle tornate elettorali degli anni ottanta nei quali tutti avevano vinto e nessuno perdeva, mai. Perché se in fondo vincono sempre tutti, s’accende il tabellone, si tiene una classifica?
Se l’importante è davvero partecipare, perché si premia chi arriva in fondo alla serie di Finale? Se conta il viaggio e non la metà perché non mettere su un tour operator invece che una squadra agonistica? Quand’è che abbiamo smesso riconoscere la sconfitta come avvenimento reale, come fattuale anche nello sport?
La sconfitta è un momento di contrizione e riflessione. Invece si tenta di trasformarla in un momento di cui fregiarsi, rendendoci di fatto incapaci d’accettarla, metabolizzarla e risolverla. Con un proposito, un progetto e una soluzione.
Una disciplina che non riconosce le sue sconfitte, non sarà mai capace d’evolversi oltre la sua piccola bolla di sogni sempre uguali e d’illusioni. Una bolla dove una partita può essere una vittoria clamorosa e di misura, in due articoli, l’uno di fianco all’altro.
Un giorno anche il futsal italiano apprenderà al lezione di Anfield Road. Non ci sono nemici nello sport ma solo avversari. Non c’è pietà sul campo di gioco, nell’arena della competizione non si prendono prigionieri, si gioca per vincere e non partecipare. “Gentleman, this school is about combat, there are no points for second place”. Dismiss.