Le leggende metropolitane: indotto

Una delle più diffuse leggende metropolitane racconta di coccodrilli che popolano le inquinatissime fogne di New York. Ovviamente non c’è nessuna prova a parte quella che contestualizza il livello di metalli pesanti presenti nelle acque reflue della metropoli americana.

Anche il calcetto a cinque ha le sue leggende metropolitane. Non parlo dei motivetti ripetuti come slogan pubblicitari mal riusciti come “sport sul punto di esplodere”. Mi riferisco alla leggenda dell’indotto economico nel futsal. Una storia che potrebbe sembrare scritta da Charles Ponzi.

Questa leggenda che si diffonde ciclicamente è fondata sulla diffusa nebulosità circa le spese che sostengono le società dilettantistiche di calcio a 5, surrogata poi dalla pratica altrettanto comune di non depositare gli accordi economici degli atleti.

Mosso dalla curiosità che porta alla conoscenza ho iniziato un percorso di ricerca. Produttori di abbigliamento sportivo, distributori, esperti di marketing internazionale, lunghe telefonate, molti incontri di persona. Una raccolta di dati indispensabili per disegnare un quadro macroeconomico prima di scendere nel particolare piccolo spazio del futsal.

Nell’ultima stagione pre-pandemica, la Juventus FC ha siglato un contratto con la Adidas, che tra costi operativi di produzione e outsourcing del prodotto generò un ricavo nell’anno di 4,9 milioni di euro. La Juventus è parte del gruppo Exor, un colosso capace quattro anni dopo di portare il suo CEO ad essere nominato presidente del Fondo Monetario Internazionale.

Quella stessa società sportiva chiuse quell’esercizio economico con una perdita di 19,2 milioni di euro a fronte di ricavi per 411 milioni. Ricapitolando, per coloro che hanno difficoltà nella comprensione d’un testo complesso: la vendita delle magliette della Juventus in quella stagione è servita a pagare Rugani e Alex Sandro. Nel primo anno di Cristano Ronaldo.

Nel piccolo mondo antico del futsal, nel quale i rapporti economici sono con il salumiere e il barbiere è necessario rimodulare le unità di misura. Le società dilettantistiche si muovono attraverso uno schema di natura finanziaria particolare. Non generano ricavi a meno di non ricorrere e favorire pratiche di finanza che l’ex ministro Tremonti avrebbe definito: creative. Una sorta di 3×2, 1×10, tipo buoni sconto del supermercato.

È possibile però per queste ASD autofinanziarsi, generare un flusso di cassa tale da non aver bisogno di capitali esterni? Nel futsal è possibile per una società distribuire utili, sostenendo allo stesso tempo l’attività agonistica?

In uno slancio di narrativa fantasy-economica, immaginiamo un mondo nel quale non ci sono costi per la produzione di merchandise e questo è ridotto alle sole maglie da gioco, vedute allo stesso identico prezzo di quelle della Juventus: 80 euro, di pura evasione fiscale. All’insaputa di una ignara Guardia di Finanza.

Nessuno scontrino, niente costi, solo ricavo. Ottanta euro, con 100 maglie ne incassate ottomila, soldi con i quali al massimo coprire un giocatore in panchina nella Serie A femminile. Con uno scatto di generosità ipotizziamo che di maglie se ne vendano 1000 a tutti gli immaginari spettatori di questo ipotetico palazzetto, di questa società di fantasia. Ottantamila euro, con i quali ecco che potrebbe realizzarsi l’acquisto di un vero top player.

Pagare gli altri undici giocatori della rosa ora potrebbe costituire un piccolo problema transitorio a meno di non ipotizzare la vendita di maglie nella stessa quantità, allo stesso prezzo per tutte le partite in casa della squadra. Ecco che incassereste 1,2 milioni di euro di solo merchandise e quasi quasi potete vincere lo scudetto della Serie A maschile.

Uno virgola due milioni di euro, per il calcetto rappresentano una cifra da autentico sceicco italiano, un Moratti insomma. L’ex presidente dell’Inter che dopo il triplete come presidente dei nerazzurri si sganciò dal costoso giocattolo che aveva quasi affondato la Saras, una azienda con un fatturato di 8,636 miliardi di euro.

Se il calcio può essere un pessimo affare, il calcetto lo è di sicuro. C’è qualcosa però che l’ambiente a rimbalzo controllato produce ad un ritmo serrato: leggende metropolitane. L’effetto però è spesso ciclico, come se nell’ambiente del calcio a 5 si fosse privi tutti, di ippocampo.

Ecco che si apre il sipario sul bengodi del calcio a 5, che solo pochi eletti hanno visto e per questo possono condurre gli altri alla terra promessa. Nel passato erano troppo stolti per conoscere l’ubicazione delle miniere di Re Salomone. Se trovano chiuso “alle minire di re salomone” loro sono anche in possesso della pietra filosofale, tramutano tutto in oro.

Un mondo meraviglioso, pieno di lustrini, di volti festanti. Poi le luci si spengono, i lustrini vengono spazzati in fretta dal parquet perché si deve giocare un incontro di volley o di basket. Si accantonano in un cantuccio buio le fatture mai pagate, gli accordi mai saldati, le matricole dimenticate. I nomi di quelli che hanno raccontato in passato del bengodi, fingono di non conoscerli di non essere stati spesso correi, quelli che nel calcio a 5 si vantano d’esserci “da sempre”.

Come nella lista di Arya Stark: Perugia, Arzignano, Luparense, Montesilvano, Marca, Pescara, Asti. Az Gold, Ternana, Olimpus, Salinis. Sandor Clegane, Meryn Trant, Cersei Lannister, Joffrey Baratheon, Ilyn Payne, Polliver, Gregor Clegane.

Maglie che dovrebbero servire da monito, riposte chissà dove. Conservatele, perché sono un pezzo di storia uno di quei frammenti di ricordi che in troppi sembrano dimenticare. Nomi buoni per scacciare i latori di leggende metropolitane.

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