Una delle rotte sportive più trafficate è quella transatlantica, soprattutto se si tratta di atleti in discipline come il basket, il baseball o il football americano. Con volumi ovviamente diversi, l’Europa è meta di transito di una variegata pletora di talenti.
Vagonate di giocatori anche dal dubbio talento, affollano le serie minori del basket, sport di nicchia di vario genere e spesso tracimano anche nel calcio. Arrivano nella vecchia Europa al termine di carriere di secondo piano nelle università americane o dopo aver fallito l’accesso diretto tra i professionisti.
Mi sono sempre chiesto però come mai, ad esempio, non esportassimo dall’Italia verso gli States, quel surplus di giocatori di calcio, che produciamo a livello giovanile e che spesso dai club professionisti non è ritenuto all’altezza.
Ho scoperto che invece qualcuno lo fa, da quasi dieci anni. Una organizzazione italianissima, YesWeCollege, si occupa di assistere giovani atleti italiani che vogliono associare la loro carriera di agonisti a quella di studenti.
Molte delle università americane, anche non quelle che la NCAA considera Division One, hanno programmi di quello che loro chiamano “soccer”, il calcio insomma. Programmi che in un paese stretto da discipline sportive ben più rilevanti, non ha un ampio bacino di talento.
In un contesto come quello è possibile per calciatori e calciatrici italiane coniugare studio e attività sportiva, in un binomio che è impossibile ottenere in Italia, ma in Europa in generale. Non è certo facile ma nemmeno impossibile.
Perché quindi doversi accontentare di studiare in una università qualsiasi, oppure a distanza, con immensi sacrifici anche solo in termini di tempo se è possibile sfruttare la propria abilità tecnica nel calcio per ottenere una istruzione. È possibile addirittura ottenerla “gratuitamente” se si ottiene una borsa di studio completa. Ne esistono anche di parziali, che coprono una parte dei costi.
Spesso le giocatrici e anche i giocatori, alimentano la propria istruzione con il denaro ottenuto dall’attività sportiva, negli States potrebbe accadere l’esatto contrario. L’opposto. Una esperienza di vita, che spesso s’è tradotta in una esperienza permanente.
L’esposizione ad una cultura differente per un periodo prolungato di tempo, ha la capacità di modificare per sempre abitudini, credenze e insomma lo stile di vita, l’approccio stesso all’esistenza. Non è una vacanza. Si tratta di avere l’occasione di vivere scrollandosi di dosso quello che si pensa di sapere e conoscere.
There is a chance out there, take it.