Ci sono squadre capaci d’assomigliare al proprio allenatore e allenatori che somigliano alla propria squadra e non sempre le due circostante s’incontrano nello stesso momento e sullo stesso campo.
Pamela Presto assomiglia alla sua squadra e la sua squadre le somiglia davvero molto. In un istante preciso, che non coincide con un risultato che pure è decisivo nella conduzione di un gruppo agonistico.
Mancano una manciata di secondi alla fine, la palla viaggia verso la linea laterale, una delle giocatrici di Pamela, arriva di corsa in copertura dell’avversaria in possesso del pallone. Un vigoroso “body check” di quelli che si vedono nel futsal maschile europeo o nel basket, all’avversaria.
L’attitudine alla lotta, al sacrificio forse si può davvero insegnare a qualcuno. La squadra femminile del quartiere fiorentino dell’Isolotto, non è bella da guardare e non è spettacolare. Esattamente come lo era il suo allenatore, da giocatore.
Quel giocatore, con indosso la maglia numero cinque, ha vinto in carriera e da protagonista qualche coppa brutte e delle medaglie dorate. Non solo, s’è guadagnata il rispetto di giocatrici tecnicamente più dotate di lei.
Edificando la giocatrice che è diventata, sulle fondamenta di una consapevolezza: per giocare ad alto livello, non avrebbe potuto contare sul mero talento. Ha creduto in se stessa, molto. Sembra facile a dirlo, a scriverlo, credo onestamente che sia decisamente più difficile farlo.
Con quella corsa quasi scomposta, la tecnica sufficiente a non inseguire il pallone dopo uno stop. Lei è riuscita a ritagliarsi una storia nella disciplina del calcio a 5 femminile, che seppure piccola non è che trovano li spazio proprio tutti.
Pamela Presto conduce nelle acque complicate della Serie A di futsal, una squadra pragmatica, come il suo mister. Senza particolari fronzoli, senza scintillanti talenti, devota alla lotta. Ogni tanto illuminata da qualche lampo di classe che la mantiene lì, al sesto posto in classifica. In zona playoff.
Possiede un talento, quello d’insegnare questa disciplina. L’ho vista insegnare a correre a delle ragazzine, poi a calciare un pallone senza inciampare nei propri piedi e poi trasformarle quasi in una squadra
“Ma che ho fatto?” m’hai chiesto a fine partita, ieri come oggi: “Non lo so davvero”, però forse hai davvero insegnato a questa squadra a usare i mezzi che ha per fare al meglio quello che può. Sembra poco? Non lo è.