Le parole per dirlo

Una delle grandi lezioni di una educazione formale costata come una Ferrari, l’ho ricevuta quasi come un appunto sconsolato: “Se qualcuno l’ha già detto in maniera egregia non cercare altre parole”.

Ho imparato così che non dovevo affannarmi a reinventare la ruota, bastava fossi capace di riconoscerla. Accade così che nella vita, s’inciampi quasi per caso che pezzi perduti di noi stessi, che non sapevamo nemmeno esistessero.

Uno dei miei pezzi abita a Terni. Pensate è tifoso anche della AS Rom(A) e riesco a non fargliene una colpa. Dorme poco la notte, spacca i controller della play sui tavolini del soggiorno e legge tanto. Tutte pezzi di me finiti lì.

Le parole che state per leggere sono sue. Nel timore che finissero inghiottite, fagocitate e poi dimenticate in quel tugurio che è Facebook, le metto in salvo qui. In uno spazio fatto di 1 e 0 anche se non ve ne accorgete. L’editing del testo è un regalo a Nicola. Un pezzo d’un mestiere che non ho mai considerato un lavoro vero.

C’è un percorso dentro di te che non conosci ma che affronti giornalmente. Fatto di brutte cadute e grandi slanci. Salite, discese, buche, vento in faccia e poche volte, davvero poche, corone di alloro, in testa. Molto più spesso lacrime gelide, di quelle che solcano le guance e scendono insieme alla notte. Fin dentro al tuo cuore e il cervello ronza forte come il motore del frigorifero.

Lo sport è una scuola di vita. Suonano questa sinfonia quelli che lo sport lo banalizzano. Non è scuola e non è vita, è molto di più. Quando mai nella vita 15 o 20 persone si fondono insieme per raggiungere un piccolo obiettivo. Quando mai la scuola ci ha insegnato che anche l’ultimo della classe può aiutare i primi, a toccare le vette dei propri sogni?

Le lacrime salate vengono definite amare. Eppure sono piene di quel sapore che si trascinano dietro, quella voglia matta di farcela, di condividere. Quel senso di delirio quando non sei stato tu a farcela ma senza di te gli altri non ce l’avrebbero fatta ed è tutto più chiaro. Nessuno nella vita si salva da solo.

Lo sport ha tenuto a bada la mia dannazione. Quella per cui il mondo non va come vorrei, quella per cui i deboli debbono vergognarsi di essere tali, quella per cui la notte ho una fottuta paura che non arriverà di nuovo l’alba.

Tutto questo l’ho combattuto solo entrando in campo con le “mie” persone. Abbiamo creato un mondo che va anche come vorrei, a volte. Nel quale ho mostrato le mie più grandi debolezze senza frignare. Solo per il gusto di concedere a chi era con me la cosa più preziosa che avevo: i miei buchi dell’anima.

Sulla paura della notte ancora devo lavorare ma se davvero l’ansia è troppa, guardo una stella e penso che sicuramente quella siamo noi ed allora non è così tremendo il pensiero del buio. Per questo non tollero e credo che non ci riuscirò mai, chi non ha la vena che gli esplode sul collo quando deve combattere insieme ai suoi.

Per questo faccio fatica ad accettare i luoghi comuni. Chi calpesta i fiori e poi racconta che in realtà era merda, chi non ha rispetto di ciò che fa, chi non cerca un futuro per lasciarlo agli altri che poi gli altri siamo anche noi. Chi racconta una bugia o peggio una mezza verità, in primis a se stesso e poi agli altri perché si sa che crearsi un alibi è sempre meno faticoso che guadagnarsi qualcosa di tangibile.

Negli ultimi 15 anni le mie giornate sono state scandite dall’immaginario di ciò che avrei potuto modellare, migliorare. Dal bisogno ossessivo di mantenere una promessa, se l’avevo fatta. Dalla consapevolezza che una lacrima esce dagli occhi e muore sulle labbra, solo perché tu possa sentire il sapore di tutto ciò che si porta dentro.

Mentre scivola tra gli zigomi e il naso e ti accarezza una guancia, poi scoppia in mille pezzi sul labbro e ti ricorda che grande fatica hai fatto a sopportare tutto. Un giorno qualunque, di una vita qualunque, immersa in uno sport qualunque, quel che provo però è definito.

Un senso di gratitudine verso molti. Un dolore per chi non ce l’ha fatta e per verso una parte della mia anima che è rimasta bloccata altrove. Tradita, sciupata, impaurita. Oggi è chiusa in qualche cassetto della memoria.

So esattamente dove ma aprirlo non aiuterebbe il mio tentativo di processare e far scorrere anche le cose che hanno degli spigoli. Che non riescono a passare nei pertugi e sopravvivere. D’altronde è un esercizio per pochi quello di trovare sempre una scorciatoia.

In bocca al lupo a tutti quelli che lo sport lo affrontano con la stessa dignità con cui la sera tornano a casa da lavoro. Stanchi e piegati in due ma che con una mano accarezzano il viso di una madre, di un figlio, di una compagna con delicatezza, solo per paura di graffiarla.

In bocca al lupo a chi per un gol intende quell’istante successivo all’incontro tra la palla e la rete della porta e tu finalmente puoi abbracciare qualcuno. Piangergli addosso e fargli sentire il sapore delle tue lacrime. Sempre quelle di prima. Qualcuno le definisce amare, le mie hanno sempre il sapore di tutto ciò che mi ha portato fin qua, un po’ rose e un po’ merda.

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