Quelli rosa che ricordano del tempo dei doni, dei racconti e della speranza.
Lacci che si sciolgono per caso, oppure per affetto. In un angolo d’un palazzetto che senza ricordi è un posto come altri, che odora di canfora e bagno di Autogrill.
Slacciati come capita ai bimbi, per dispetto o per ricordarci che ci siamo, come per farci notare. In un palazzetto s’entra per caso, si resta per un proposito. Uno che potrebbe profumare di sabbia nel vento, acqua di mare sui i piedi e vento freddo sulla faccia.
Le balaustre sembrano trasparenti ma forse non lo sono davvero. Restano barriere con voi da quella parte e io da quest’altra. A distanza di sicurezza. Al riparo dal tempo, dalle parole che s’arrotolano dentro alle bugie che ci raccontiamo per non trovarci a fare davvero i conti con noi stessi.
Scarpe slacciate come quelle dei bimbi che corrono più in fretta che possono incontro ai loro sogni. Non s’accorgono quasi mai, di quei lacci che svolazzano. perché loro incoscienti, guardano avanti. C’inciampano, a volte. Piangono un po’ e poi si sistemano per ripartire.
Slacciati come i pensieri, come le parole smarrite in gola, a ricordarmi che ci sei. Facevo bene a non legarli mai, quasi a rifiutare una convezione che era anche scomoda. Come avresti fatto però poi? Ricordo quella storia. La strada ti entra da terra? Già la vita è anche quella che passa da li.
Se non fosse il tempo in campo, quello della partita, a rendere questo momento speso in sudore ed allenamenti, un viaggio che val la pena d’intraprendere? Se fossero invece, gli abbracci, quelli che non chiedi ma t’arrivano ad essere il regalo che non t’aspetti.
Come quella voce che ti rimprovera perché gli importa di te, perché in una squadra, non tutti sono uguali ma quelli che portano le borse è meglio che siano il meno possibile.
“Non c’è portiere” non è un grido d’allarme, non è nemmeno una informazione e un richiamo a tutte. Perché c’è da proteggere chi è tra i pali, prima che impari a farlo da sola. Ma è anche un po’ un grido da stronza, ammettilo.
Si, la partita sulla panchina è quella che riflette le storie, che racconta perché accade qualcosa lì poi sul campo. Bella così, con le espressioni buffe del viso, in attesa che la sirena ponga fine ad una partita che per qualcuno in terra con i crampi, è durata anche troppo.
Fischio, sirena. Musica a palla e via verso casa.
A quei lacci sciolti per gioco e per saluto mi ricorderò poi, con il rammarico di non aver notato l’ovvio. S’attaccano a quel ricordo, queste parole: “Seasons do it and it happens when the night goes day. Going through it, I knew it. The right and the hard thing are sometimes the same.”