La salute della mente

A scrivere “salute mentale”, in un paese come l’Italia avvolta ancora un in ciclo sociale che strizza l’occhio agli anni 50 del secolo scorso più che la 2050, s’evoca subito lo stigma dei “pazzi”.

Triste davvero, il Bel Paese è tra le nazioni a capitalismo avanzato, quindi anche la Cina, l’unica ancora a crogiolarsi in conservatorismo sociale incapace di comprendere la società della rivoluzione digitale.

Accade così anche nello sport. Dominato da una classe dirigente, inadatta e non solo per dolo, a comprendere una Gen Z, che matura in un panorama economico e sociale per loro alieno.

Anche solo 10 anni fa, un allenatore era solito dismettere ogni sofferenza emozionale di un suo atleta con un laconico “devi crescere”. Una versione che gli anglosassoni chiamano “toughen up”. Devi indurirti.

Quando questi tecnici, dirigenti erano giovani, le critiche al massimo arrivavano dagli spalti e dai parenti e amici. Un piccolo gruppo, sparuto di insulti che era in qualche modo semplice derubricare, isolandosi.

Oggi, l’isolamento non è semplicemente, possibile. Tuttavia in Italia, alla sua matriarcale abitudine a risolvere le questione delle nuove generazioni con un “questi giovani d’oggi”, si aggiunge quel machismo latino per il quale se hai un problema emozionale, probabilmente ne hai anche uno d’identità sessuale.

Una intera nuova generazione, soffre, in silenzio. Perché  chiaramente non ha nessuno nella “sfera adulta” alla quale rivolgersi, in condizioni di comprenderla. In funzione del ritardo sociale dell’Italia, facciamo un salto oltreoceano, per raccontare cosa accade lì, nel nostro futuro.

Marzo 2022: Katie Meyer, il portiere dell’università di Stanford, si suicida.
Aprile 2022: Robert Martin, il portiere dalla squadra di lacrosse della State University of New York, si uccide. Nello stesso mese si toglie la vita Jayden Hill, della squadra di atletica leggera della Northern Michigan. Così come Sarah Schulze, nella squadra di corsa campestre alla Wisconsin. L’ultima vittima di quel terribile Aprile è Lauren Bernett, il catcher della James Madison.
Maggio 2022: si uccide Arlana Miller, la cheerleader nella squadra competitiva alla Southern.

Una epidemia. Non solo tra i giovanissimi atleti universitari. Una piaga che s’espande silenziosa anche tra i professionisti dello sport. Badate bene, non si tratta di giocatori mediocri, parliamo di atleti di successo.

Come Tyler Hilinski, 21 anni, quarterback titolare per la Washington State, un college Division One. Una sera, nel suo appartamento fuori dal campus, prende la pistola che ha regolarmente acquistato e si spara.

Gli Hilinski appartengono alla alta borghesia americana, tre fratelli tutti quarterback a livello universitario. Nessun problema finanziario, nessuna questione sociale irrisolta. Ma Tyler alla vigilia del suo ultimo anno di college, si toglie la vita.

Nessuno può raccontarvi quanto è profonda la tana del bianconiglio, se non c’è entrato. Mark e Kym Hilinski in un momento hanno anche considerato la possibilità, per uno dei due di uccidersi per raggiungere Tyler.

Hanno scelto però una strada diversa, una che li ha condotti davanti ad una platea di giovani atleti dell’Università dell Utah. Sul palco con loro c’è il capo allenatore del programma di football americano, che ha appena perso il figlio, suicida.

Nella platea c’è un giocatore sopravvissuto al suo tentativo di suicidio e almeno altri 4 che hanno seriamente preso in considerazione il gesto. Oggi 137 istituzioni universitarie con un programma sportivo, partecipano ai Tyler Talks. Quest’anno perfino la NFL ha sondato con gli Hilinski la possibilità di una partnership.

Ad oggi negli USA, il suicidio è la seconda causa di decesso nella popolazione 18-24. Una epidemia non si risolve con un “abbozza, passerà”. Una piaga che si sta portando via, una fetta importante di una generazione, lasciando quelli che restano segnati dall’esperienza.

Estremamente esposti, con vite scrutinate, offese e vilipese così anche solo per frustrazione. La difesa di questa generazione di atleti è la vera sfida di una società avanzata, indispensabile se si vuol confinare ancora e per sempre la troglofauna nel posto che le spetta: le caverne.

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