Muñeca e l’Airone

Occhi come matite colorate, sparpagliate a caso sul tavolo. Come cadute da un astuccio troppo piccolo. Parole, che aspettano d’essere raccontate, prima di perdersi tra le pieghe d’un mondo che non vi presta abbastanza attenzione.

Donne dentro ad una stagione non voluta ma imposta. Giovani atlete con un sogno da non raccontare a nessuno, per timore che si vaporizzi al contatto con la realtà. Storie di vite diverse, che si trovano per caso ma in comune hanno un pallone, una casa lontana e tanta strada davanti.

L’airone e le sue saline. I capelli che sono brutti solo fino a quando non scopro che sono così perché frutto di un dono. “Li avevo lunghi” ma il gesto che l’accompagna li fa diventare nella mia immaginazione, lunghissimi. Questo taglio a caso, si trasforma e diventa bello, tanto. Ma non all’apparenza.

Muñeca, come Marcelo Gallardo. La bambolina, una di quelle con l’espressione sempre triste. La voce mi sorprende, come quei fiori che spuntano dalla neve. C’è tanta di quella vita nascosta in piena vista, che aspetta il suo tempo per raccontarsi.

Loro percorrono insieme quel tratto di vita nel quale la strada davanti è immensamente più lunga di quella già percorsa. Vite da riempire, con tutto quello che c’è intorno. Donne curiose di scoprire dove le porterà quel pallone. Lontane da casa perché i sogni, quelli li devi inseguire e scappano sempre lontano.

Ventisette secondi, dieci battiti di ciglia, 3 palpitazioni del cuore. La gioia spesso non è così lontana. Arriva accompagnata dal fruscio d’un pallone che s’incastra in una rete. Porta un sorriso che non puoi fermare perché non t’aspettavi d’averlo stampato in viso.

Quella felicità che t’accarezza il viso la mattina dopo come quel sole pigro d’inverno che splende in un cielo troppo blu per essere vero. Ma è lì, fuori da quella finestra. La gioia d’un momento che rallenta il tempo e si moltiplica.

Giocare è divertimento, vincere però è più divertente. Quando non doveva succedere e invece. Quando sembravi dover recitare il ruolo della piccola fiammiferaia e invece. Sei lì con le braccia al cielo, sommersa una marea di abbracci che sembrano essersi replicati all’infinito.

“Loro erano felici, per noi e con noi”. Loro sono quelle che guardi giocare, di solito. Con loro dividi lo spogliatoio, gli allenamenti ma non sei davvero, una di loro. In quell’oggi così poco ordinario, loro sono voi, sono te. Perché quella felicità non la puoi simulare, non la puoi imbrogliare.

Occhi felici. Voci sorridenti. Piccole donne, ma solo all’anagrafe. La gioia la riconosci anche quando pensi di non meritarla. È sentirsi a casa, lontano da casa. Scoprire che a qualcuno importa, di te, davvero. È quando realizzi che lo straordinario, spetta anche a te.

La gioia per una vittoria che suona come i popcorn che saltano impazziti in una padella senza coperchio. L’inaspettato regalo di Babbo Natale che non esiste ma invece forse, si. Quando fai sembrare sciocca la parola progetto, ripetuta da tanti e così tante volte che forse qualcuno ci crede davvero.

Oggi è il mio tempo per festeggiare la muñeca e l’airone e le loro compagne, trovate per caso. I loro sorrisi, la loro storia appena abbozzata. Fermate questo ricordo e conservatelo. Tiratelo fuori quando il cielo non sarà così blu e il pallone finirà più spesso nella vostra porta. Non dimenticate quanto vi divertite a a giocare e di tutte quelle mattine con il sole che scaldava solo il vostro viso.

Press play.
Underdogs.
So I sing a song for the hustlers trading at the bus stop. Single mothers waiting on a check to come
Young teachers, student doctors. Sons on the frontline knowing they don’t get to run. This goes out to the underdog, Keep on keeping at what you love. You’ll find that someday soon enough.You will rise up, rise up.

Love you girls. Even if I do not really know your name.

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