Sbagliano solo quelli che non provano. Adagio funzionale a mantenere la testa alta, per continuare a lottare. Tuttavia resta uno di quegli esercizi mentali più complessi da mettere in pratica, per un agonista.
Potrei raccontare la partita di ieri, anche solo attraverso le diverse reazioni all’errore personale, anche solo tecnico. La partita si dipana e mi trovo a riflettere su quanto sia straordinario il poter misurare numericamente anche la capacità mentale di reagire all’errore.
Il processo d’apprendimento che si veicola nel momento successivo all’errore è efficace in misura direttamente proporzionale alla capacità di condizionare la memoria muscolare. Memoria muscolare influenzata dall’abilità di assorbire la fatica.
Ci sono così quei giocatori che sbagliano così poco che quando accade, l’errore è paradossalmente amplificato dalla sua usuale assenza. Allo stesso modo ci sono quegli atleti che quando eseguono una giocata facilitano la domanda: “perché non lo fa sempre?”
Ad osservarla, senza limitarsi a guardarla la partita di ieri è anche la pietra angolare sulla quale si poggia la definizione di: “giocatore di categoria.” Quell’atleta in condizioni di eccellere sono all’interno di un definito intervallo di abilità.
Quello che contrapposto ad un avversario dall’abilità maggiore, fatica ad adattarsi, fino a palesare l’incapacità di elevare il suo gioco. Nel calcio Coda o Lapadula sono dei straordinari e prolifici attaccanti di Serie B, ma mediocri giocatori di Serie A.
Gli errori per uno sportivo diventano gravi quando non costituiscono motore di cambiamento. Quando inducono l’atleta a preoccuparsi dell’eventualità dell’errore piuttosto che della occasione per realizzare la giocata.
Probabilmente il miglior approccio al’evento competitivo, a qualsiasi evento competitivo resta quello raccontato da questa frase: “One of the great thing about football is that you can loose yourself in it, you have not time to think or to worry, you just move and react”.