Il permesso per protestare

Il futsal non si muove all’interno di un universo sigillato. Certo se siete dei boomer e usate solo Facebook, potreste anche avere questa impressione. Il feed che vi viene fornito, serve a quello. Esattamente, illudervi.

Se al contrario appartenete alla popolazione d’un pianeta estremamente interconnesso vi sarete accorti che si gioca il mondiale di calcio in Qatar. Quella stessa manifestazione che nel futsal viene negata, alle donne, per ragioni politiche e d’opportunità.

È di qualche settimana fa l’esordio social di un video nel quale le giocatrici più in vista delle nazionali di futsal femminile chiedevano d’avere finalmente il loro mondiale. Un pò di ribalzi tra quotidiani online e fanzine dopo, l’oblio o quasi.

Il mondiale in Qatar. La questione dei lavoratori immigrati, i diritti civili delle minoranze e non solo. Ecco che arriva la foto di squadra della nazionale tedesca a ricordare che il calcio, non è mai solo calcio.

La protesta degli atleti tedeschi verso l’atteggiamento omertoso dei vertici FIFA, sfociato poi nel divieto di scendere in campo con la fascia “One Love”, m’ha ricordato una frase che ho ascoltato da una giocatrice di futsal.

“Per protestare, non puoi chiedere il permesso”.
Così Neuer e compagni non hanno certo chiesto il permesso per rifilare uno schiaffo in pieno viso ai vertici della FIFA. Quella foto è diventata un simbolo, un gesto di ribellione verso una organizzazione che pretende d’essere al di sopra delle parti ma finisce con l’essere fuori dal mondo.

Sono i gesti scandalosi, quelli che destano l’attenzione e portano a fare la differenza. Perché saranno ricordati, celebrati e vilipesi, ma non passeranno mai inosservati.

“Per protestare, non puoi chiedere il permesso”.
Non fatelo, ma non smettete di protestare. Di pretendere una spiegazione ufficiale, una motivazione. In un panorama sportivo travolto da un flusso enorme d’informazioni, c’è bisogno di destare sconcerto.

Rosa Parks non ha chiesto gentilmente se poteva sedersi altrove. S’è rifiutata di sedersi in fondo al bus, in una Alabama che a quel tempo impiccava quelli con il colore della sua pelle, perché potevano.

Guardate ancora quella foto, quella della nazionale tedesca. La potenza di quel gesto con indosso quella maglia, con la pesante storia di quella nazione sulle spalle, è ancora più potente, fosse solo per il coraggio che altri non hanno avuto.

Ricordate gli undici uomini dell’Iran, che non cantano l’inno nazionale in solidarietà con le loro sorelle e le loro madri, che protestano per avere il diritto a non morire per un velo sistemato male in testa.

Quei ragazzi tra qualche settimana atterreranno a Teheran, sede di quel governo che hanno apertamente sfidato in diretta mondiale. In quella nazione dove muori, per un velo.

Cosa pensate quindi di fare, per essere scandalose, per destare una coscienza di uomini che posso permettervi di ignorarvi. con una facilità che a guardarla dal vostro punto di vista è probabilmente disarmante.

Perché non basta, quel video. Quel grido, si è ritrovato subito sommerso da mille altre istanze, probabilmente importanti, utili e degne.
Per protestare, non potete chiedere il permesso.

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