Una battaglia che ho personalmente perso, malamente. Sono stato da sempre un promotore del formato orizzontale. Le sconfitte sono importanti quando si è capaci di riconoscerle.
Invece di spiegare come capita spesso a quelli che perdono, ho scelto di studiare. Scoprendo che il formato verticale quel 9:16esimi non è poi così male. Un po’ come quando scopri che si puoi far giocare la tua squadra con il “fraseggio” ma quando pressi nella metà campo avversaria è molto più divertente.
Il formato verticale non è solo un mutamento nel paradigma della composizione video, con esso muta anche il tipo di narrazione che è possibile realizzare, inevitabilmente. Short Stories, le mie preferite.
Nel recente Brainstorm Tech, il numero due di Mountain View, Prabhakar Raghavan, responsabile del suo sistema di ricerca, ha parlato nel suo key note di come la Gen Z, abbia abdicato alle ricerche tradizionali, adottando sempre più spesso TikTok e Instagram per quel medesimo scopo.
Qualche giorno fa, il Washington Post titolava: “TikTok ha divorato internet”. Un pezzo su uno dei pochi giornali tradizionali ad avere uno straordinario successo su tutte le piattaforme da Twitch a TikTok.
Quel titolo non rappresenta un grido d’allarme. È piuttosto una constatazione. È iniziata una nuova era d’attenzione istantanea e parcellizzata. Segnata da uno scroll costante e da una relazione più intima con le video star in formato verticale.
Al successo di TikTok hanno risposto gli Shorts di Youtube e i Reels di Instagram. È la realizzazione della profezia di qualche anno fa di Nicola Mendelsohn, da sempre braccio destro di Zuckerberg a Meta. Il futuro disse sarà: “video, video, video”.
Il boom delle micro narrazioni sfrutta il deficit d’attenzione che caratterizza un pubblico iperconnesso. Quello che ci porta a preferire un contenuto perché in grado di innescare un impatto emotivo immediato, che suscita a sua volta una reazione.
Il futsal italiano fallisce clamorosamente su tutto il fronte della comunicazione. Avvolto in una bolla temporale che lo fa somigliare spesso alle prime tv commerciali degli anni ottanta. Fermo alle videochiamate di pandemica memoria. Incastrato tra interviste inginocchiate e televendite.
Il tempo medio di permanenza sul portale di FutsalTV è di circa sei minuti. Un dato che conferma il radicale mutamento nel consumo di contenuti video. La partita non basta, il lunghi talk show funzionavano quando Maurizio Costanzo era ancora giovane.
In queste settimane con la partecipazione di una giocatrice, una di quelle che mette raramente piede in campo, stiamo producendo contenuti brevi, verticali. Utilizzando semplici strumenti analitici.
Invece di reinventare la ruota, oppure affidarci all’istinto, abbiamo preferito farla girare la ruota. Invece di parlare di gente, abbiamo scelto di raccontare ad un pubblico. Nel giro di 30 giorni c’erano 500 follower, che interagivano. Non perché c’è la cugina, sorella, nipote che fa una intervista piena di banalità.
Ci siamo inseriti in un contesto estremamente competitivo, producendo contenuti che seguissero una linea narrativa. Cambiandola quando non funzionava, adattandoci ai trend. Non è una impresa facile, tra distanze fisiche, di mezzi e di tempi.
Siamo andati dove c’era un pubblico, non abbiamo cercato di crearlo, immaginarlo, sognarlo. Ci siamo chiesti cosa potessimo offrire di diverso da quello già presente. Abbiamo usato quelle che si chiamano in gergo “best practices”.
Siamo partiti dal contenuto per raccontare la protagonista, abbiamo personalizzato l’esperienza rendendola il più intima possibile. Ad esempio abbiamo cavalcato la sua inabilità a competere davvero, per fidelizzare quei giocatori che vivono la stessa condizione.
L’esatto opposto di quello che avviene nella narrazione sportiva del futsal. Ricordate vero la frase “non c’è sconfitta nel cuore di chi lotta”? Bellissima frase, così abusata da essere lisa. Basta davvero, la dobbiamo piantare con questa storia che perdere è bello.
Nessuno è felice di perdere, che orgoglio c’è nel subire una imbarcata. Il futsal s’è chiuso in questa stanza piena di buoni sentimenti e fuori da questa ci sono le Fifò del mondo che vi fanno gol e poi si indicano la maglia. Prendendovi ovviamente per il culo.
Perdere fa schifo, ti fa sentire una merda e quella sensazione non passa mai. Non importa quanto riesci a vincere. Quello schifo da dentro il cuore non va mai via.
Ecco, queste sono linee nella quale tutti si posso riconoscere, in cui non devi per forza essere falso come le risatine nelle interviste.
Cinquantunomila visualizzazioni e un tasso di crescita del 51 per cento su base settimanale. Questi sono i numeri dell’esperimento social, di narrazione video e non sono in discussione. Costo. Il nostro tempo e lo studio. Pensate a quando si spende per una squadra di futsal che fa una manciata di visualizzazioni di parenti per sei minuti, una volta a settimana.
Cheers.