Il peggior affare del mondo

Se qualcuno provasse a fare affari, con una qualsiasi entità sportiva, non solo calcistica, potrebbe alla fine della sua esperienza regalare a tutti una pietra miliare della narrazione finanziaria e agonistica.

“Riesco a fare affari con gli stupidi e riesco a fare affari con gli imbroglioni. Ma non posso fare affari con degli stupidi che vogliono essere imbroglioni”.
Questa è sicuramente una buona sintesi dell’affare calcio, se proprio vogliamo definire il calcio un affare, come fanno in molti. Ma potete applicarla anche al calcio a 5.

Se pensate che il calcio sia un affare, quindi per una trasformazione geometrica frattale lo sia anche il futsal, mettetevi comodi, resterete sorpresi e sgomenti.

Il gruppo editoriale l’Espresso, nel 2008, fatturò un miliardo e ventisei milioni di euro. In piena crisi della pubblicità distribuì utili operativi per 95,3 milioni di euro. Cifre minuscole per una società quotata in borsa, tanto da portare il gruppo a confluire in GEDI anni dopo.

Quello stesso anno, grazie al rapporto della società Deloitte, apprendiamo che il Real Madrid ha generato un fatturato di 366 milioni di euro, collocando il club di Florentino Perez in testa alla classifica della Money League.

Si tratta però di una cifra che rappresenta poco più di un terzo del fatturato dell’Espresso e per un termine di paragone, rappresenta 1/100esimo del fatturato dell’ENI, la maggior azienda italiana quotata nel listino FTSE MIB.

Se la Deloitte avesse classificato i club in base agli utili, i paragone sarebbe stato imbarazzante. In quel 2008 le squadre con più utili nella Premier League erano Watford, Reading e Arsenal.

Da qualunque parte la si prenda, nessuna società di calcio è un grosso affare. Come fa quindi ad esserlo una società di futsal? Se in un contesto macroeconomico è più vantaggioso acquistare tre punti vendita della catena Lidl che un club di Premier League, come è possibile continuare a parlare di affare del calcio.

Com’è possibile rendere sostenibile in un contesto microeconomico il futsal, a tutti i livelli anche quello del calcetto a cinque? La soluzione a questo quesito, in parte risiede nel concetto che gli economisti definiscono come appropriabilità.

Cioè nel problema che affligge i club, tanto di calcio, quanto di futsal. Il prodotto diretto che possono sfruttare, non rappresenta che una minima parte, una frazione, della nostra passione per la disciplina.

Costose magliette originali e abbonamenti esosi restano un esorbitante acquisto annuale per feticisti del calcio. Nella maggior parte dei casi, il prodotto non è consumato dal vivo e al prezzo d’un modesto abbonamento o di due birre al bar.

Come ha chiosato Umberto Eco, la maggior parte dei tifosi preferisce le “chiacchiere sullo sport” allo sport vero e proprio. In particolare gli appassionati consumano il calcio più parlandone che praticandolo.

Lo sport oggi si riduce a un discorso sulla stampa sportiva, che è un discorso su un discorso circa vedere lo sport altrui come discorso.

A rendere tutto questo divertimento possibile, sono le società sportive che però non possono appropriarsi di un solo centesimo del valore che attribuiamo a questa attività.

Il futsal italiano fallisce anche nello stabilire questo basico rapporto con i fruitori del suo prodotto. Nel calcetto a cinque, le società sportive pagano per ottenere una pubblicità che altrove è gratuita perché chi ne sfrutta poi la promozione non investe direttamente nel prodotto.

Questo rapporto è un indicatore inequivocabile di quanto il futsal non solo sia un pessimo affare, ma di quanto non è affatto un affare. Almeno fino a quando il rapporto economico sarà orientato a scimmiottare male, quelli del calcio.

Paradossalmente una microeconomia come quella del futsal è più influenzabile dalle best pratice economiche, eppure si sceglie di ignorare gli errori del calcio ma piuttosto di imitarli. Esistono soluzioni, ovviamente. Per rendere l’economia di una disciplina finanziariamente sostenibile. Quali? Basta studiare, non vorrete davvero che faccia io tutto il lavoro?

C’è ancora una profonda tana del bianconiglio da esplorare, questo è solo il primo tratto del viaggio nell’economia di una disciplina. Una viaggio che parte dal calcio solo perché in quel contesto è tutto così dannatamente, evidente.

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