Tutte le storie sono composte da un incipit, un intreccio ed un epilogo. Quella della nazionale italiana di futsal non è diversa. Questa in particolare inizia sette anni fa. In termini sportivi si potrebbe anche aggiungere, “solo” sette anni fa.
I romanzi si dividono in capitoli, questo è iniziato al Foro Italico, all’aperto sotto le stelle e s’è concluso ieri sera in un palazzetto multiuso nel nord del Portogallo.
Questa sarà una storia di persone, di sacrifici, di lacrime, troppe, e di sorrisi, troppo pochi. Non sarà una storia di “grazie lo stesso”. Perché quando prendevo 5 e mezzo a Latino, venivo sgridato. Non ricordo mai d’aver ricevuto un “grazie per averci provato”.
Questa è anche una storia d’amore che inizia con una domanda. “Sei pronto ad innamorarti di noi?”. Però non sono proprio bravo con queste cose, c’è sempre quella questione sulla fiducia, del fidarsi in generale. L’ho fatto una volta ed è andata malissimo.
M’incollo nonostante tutto, davanti al monitor. Su quello principale c’è il futsal, che ha preso il posto di Roma – Napoli, relegato a quello secondario verticale.
La partita inizia e mi tengo stretta quella sensazione molto giallorossa (asroma) del “non succede, ma se succede”.
Che cresce nel tempo, con il passare dei minuti. Le azzurre non vengono travolte, soffrono e s’aggrappano allo straordinario stato di forma e di talento di Ana Sestari.
Arriva il vantaggio del Portogallo, parte del piede di Fifò, il tiro che batte per la prima volta l’estremo difensore azzurro. Si possono pensare tante cose di Ana Sofia Simões Gonçalves. Molte di queste riflessione destrutturano alcuni fatti. È una millennials, ha già vinto ovunque e da protagonista e le manca solo il titolo di campione d’Europa.
Dimenticavo. Ha la rara abilità, tipicamente portoghese, di essere arrogante e poi in campo riuscire con i fatti a sostenere le sue dichiarazioni. Per i predicatori di umiltà, ricordo alcuni sportivi portoghesi noti per la loro umiltà: Cristiano Ronaldo, Josè Mourinho e Luis Figo. Tutta gente alla quale universalmente nessuno riconosce appunto, umiltà.
Gli atleti non devono essere simpatici, modesti, apprezzare la nostra cucina o i nostri costumi, sono pagati per vincere, il loro lavoro è vincere. Se sono simpatici e umili, quello è un bonus. Tutto il resto è onanismo intellettuale.
La partita poi la raddrizziamo (noi, ormai mi sento partecipe, colpa vostra sia chiaro) con un gol di Rafaela Dal’Maz. Palla lunga, spizzata, gol e abbracci. Pareggiamo, segnando al Portogallo. La qualificazione torna in bilico per almeno i successivi due minuti.
Nei quali penso: “allora succede, può succedere” e mi concedo d’amarle, tutte. Vanelli con lo zigomo gonfio dopo una gomitata ma va ancora a contrasto con Carla Vanessa, Se il gigante portoghese fosse un marsupiale potrebbe tenerla nella sua tasca. Ma Gaby le porta via il pallone.
C’è un abusatissimo luogo comune: “i giocatori si vedono nelle grandi occasioni”. No, i grandi giocatori si vedono spesso, quasi sempre in tutte le partite, anche quelle che giochicchiano ma poi s’accendono quasi annoiate e spaccano il tempo di gioco.
Non passa abbastanza tempo e spunta dal margine dello schermo, Azevedo. Trova al volo un angolo della porta nel quale Sestari non può arrivare. Riporta le lusitane in vantaggio e l’Italia ad inseguire. I gol non sono tutti uguali, segnare tre gol alla Slovenia che di reti ne ha subite 23 e come farle alla Biolorussia.
Questione più complicata è farne uno all’Italia, oppure realizzare l’unico gol subito dal Portogallo, in questo Main Round. Leggere Calcionomica v’insegnerebbe anche a distinguere tra l’importanza della classifica cannonieri e il computo dei gol, perché non sono la stessa cosa.
La partita tra Portogallo e Italia, finisce lì. Con quel gol del due a uno. I minuti che passano diventano un contenitore di “ma, se e però”. Di quello che sembra mancare a queste ragazze con indosso la maglia azzurra per passare il turno.
Oppure di quello che manca al Portogallo per battere la Spagna. Con un breve elenco potrei azzardare: Sara Ferreira, Jenny Rodriguez e una tenuta mentale superiore a quella di un paziente bipolare che non segue la terapia da mesi.
Quello che non manca all’Italia, sono i commissari tecnici, siamo il paese al mondo con milioni di CT, li trovate ovunque, anche in fila per la pensione all’ufficio postale. Tutti vogliono esserlo, fino a quando non si siedono davvero su quella panchina.
All’Italia manca altro talento, più talento, anche pescato in un episodio di Terra Nostra, non importa dove. Non talento percepito, quello vero, quello che compare a tentare di trovare il gol, con un tiro la porta. Di quello che si carica di responsabilità.
Scrollandosi per sempre l’onda emotiva della Notte Magica, lontana ormai sette anni. C’è spesso diffusa quell’idea che indossare semplicemente la maglia azzurra, sia un traguardo. No, non lo è. Vincere lo è.
Non perché lo scrivo io, che non so niente di questo sport. Perché lo dice Paul Scholes. Colonna del Manchester United che vinceva tutto e della Nazionale Inglese. “No, non sono felice di aver indossato la maglia della nazionale, perché con quella indosso non sono riuscito a vincere nulla”.
Indossare la maglia della nazionale per vincere. No, niente “grazie lo stesso”. L’esatto opposto, per colpa vostra mi sono illuso, di nuovo che bastasse l’amore. Perché cinque e mezzo a latino, è insufficiente.
Però vi voglio bene, come al ricordo di quando m’appisolavo ad occhi aperti sui libri di grammatica latina, era questa la ragione del mio scarso rendimento. Però poi ho capito, ho copiato senza farmi beccare da chi era più bravo di me e alla fine sono diventato abbastanza bravo, da non averne più bisogno.
Il fallimento è una condizione più frequente del successo. Ho una remota e vaga idea delle vostre emozioni, ora. Non scriverò frasi pietose e di circostanza. Spero che non passi mai questo disagio emotivo, questo senso di sconfitta.
Spero però che v’insegnino a farlo diventare furia sportiva, benzina per il vostro motore di agoniste. Che ve ne ricordiate ogni volta, ogni istante, fino a quando la vittoria che cercate, lenirà per qualche istante quel ricordo.