Buona la prima

Fafe è una sorta di teatro dei sogni, anzi del sogno. Quello azzurro d’approdare ad una Final Four, quello portoghese di strappare finalmente il titolo continentale alla Spagna.

L’ampio successo delle Azzurre guidate da Francesca Salvatore, contro la Slovenia e la goleada lusitana contro la Bielorussia, raccontano di una storia il cui canovaccio era facilmente intuibile.

C’è una sola partita che conta, si disputerà domenica, alle 22.00 ora italiana. Portogallo – Italia. Bielorussia e Slovenia, pur dividendo il campo con le loro avversarie, non praticano la stessa disciplina.

L’Italia s’affida al piede caldissimo di Belli, che mi perdonerà spero il luogo comune. Trova il primo gol ufficiale dell’esordiente Vanelli, scopre una Adamatti in versione rifinitore, pronta a fornire assist che devono essere solo accompagnati in porta.

Come per il Portogallo, la fase difensiva delle azzurre si limita all’impegno scolastico di far ripartire l’azione. Una pessima entrata da dietro di una difendente della Slovenia, procura a Boutimah un colpo alla caviglia, un accidente di gioco.

Nessuna insidia apparente, sembra registrarsi, in vista dell’incontro di domenica. L’ostacolo Bielorussa per questa Italia non può che rappresentare un ostacolo a metà tra la siepe ornamentale e un rallentatore di velocità.

L’unico vero obiettivo è battere il Portogallo. Non competere con le lusitane, battere le ragazze capitanate da Ines Fernandes. Per lasciarsi alla spalle l’happening della “Notte Magica”, per essere considerate una squadra vera, una alla quale si chiede di vincere, non di partecipare.

Lo sport nella sua essenza, nella sua radice più pura non ha niente a che fare con le parole di De Cubertin. Ha più a che fare con: “Vincere è l’unica cosa che conta”. C’è un solo posto in palio per quella finale, c’è una sola squadra che da quell’incontro uscirà vincitrice. L’altra uscirà e basta.

Nota a margine.
La frase: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”, attribuita da Terruzzi e Pastorin a Giampiero Boniperti, divenuta poi il marchio di fabbrica di una intera società sportiva, ha origine e natali statunitensi.

Millenovecento cinquanta. Al workshop della California Polytechnic State University, San Luis Obispo, l’allenatore Ron Sanders si rivolge così ai presenti: “”Men, I’ll be honest. Winning isn’t everything”, alla quale poi fa seguire una lunga pausa, prima di aggiungere: “Men, it’s the only thing!”

Riportata tre anni dopo, il sette dicembre 1957 nel sottotitolo di un articolo che parla di Ron Sanders, sul Los Angeles Herals and Express. Boniperti, vecchio furbacchione l’ha fatta sua, rendendola in Italia, immortale.

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