Gente di Mare

Pescara – Pesaro, la prima in stagione dei marchigiani campioni d’Italia. La prima della riforma Bergamini. La mia curiosità era tutta rivolta al campo. Curioso di scoprire quando del futsal italiano fosse diventato calcetto, così con un paio di righe di regolamento. Tanti volti diversi, meno soliti, calcano i due alti del campo.

Le reflex sono nella borsa, non c’è nulla che m’interessi, ora. Mi sbagliavo. Come accade spesso nel riscaldamento, gli autoparlanti sputano fuori le note di una canzone. Questa volta non è qualcosa di moda al momento. Suona: Gente di Mare, di Ralf Umberto Tozzi.

Millenovecento ottantasette. Una dimensione quantica, diversa da questa. Certo Pescara è una città di mare, “noi” siamo gente di mare.
Fino a qui, si tratta di una piacevole scelta musicale, per una generazione che forse arriva da un pianeta diverso da questo.

Completamente inatteso per me, l’ascoltare all’improvviso i ragazzi della tifoseria di casa, intonano il ritornello della canzone. Intonare forse è troppo, lo urlano però, abbastanza forte da riempire il quartiere.

Non è solo l’urlo di un palazzetto che finalmente torna a suonare nella maniera giusta, quella dello sport vero. È l’impeto di chiamare mia sorella che abita poco lontano, perché i ricordi affiorano per ragioni spesso inintelligibili.

“Lo senti quello che cantano?”
“Si.” Con il pensiero la posso vederla sorridere.
Per noi è il millenovecentonovanta, è un residence nel Limburg e sono due abruzzesi ed un sardo ma indiano, che intonano quella stessa canzone. Solo per nostalgia. Perché alla fine è vero, il mare te lo porti dentro.

Vorrei aver avuto il riflesso pronto, la macchina fotografica già montata per poter raccontare questa storia anche con le immagini, ma non è così. M’ha fregato l’emozione.

Ecco la magia degli spalti con gli ultras. Un personalissimo sentimento s’è attaccato ad una partita della quale, davvero, non importa a molti. Ma il tifo, quello vero, quello di quei ragazzi, è capace di questo. S’incolla come un ricordo ad un evento, facilmente dimenticabile, rendendolo importante, unico.

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C’è anche poi la partita, tutto il resto della coreografia. Il repertorio completo, quello vero, quello da curva. Da non confondere con quello che accade nel femminile, tra famiglie e dirigenti facinorosi.
Questo è una tifoseria, quella no.

Fischio finale.
Mi sono incamminato verso casa, a piedi. Il coro è partito ancora, forte, come una firma, come una affermazione. “Noi siamo questi, siamo del colore del cielo e del mare”. Chiamo ancora mia sorella: “affacciati alla finestra, li puoi sentire cantare ancora”.

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