Non seguo le amichevoli, aborro gli incontri senza niente in palio. Quelli si chiamano allenamenti. Eccomi alla partita, con solo una lista di nomi, che m’ero appuntato, null’altro.
Pronti via, fischio e si fa sul serio. Per i tre punti. Basta qualche giro d’orologio e rifletto sull’affermazione del presidente Pizza, quando dichiarava che non avrebbe partecipato alla Champions, “per non fare brutta figura”.
Questo Pesaro ha lo scudetto e coccarda tricolore cucita sulla maglia, ma di quella squadra non è rimasto, quasi nulla. Lo spettacolo al quale assisto dagli spalti è ridotto nella sua cifra tecnica, quella atletica è difficile ancora da valutare.
Di fronte un Pescara con la maglia a righe biancoazzurre, con le sciarpe in vendita all’ingresso del palazzetto. Troppe novità, così tutte d’un colpo. I colori sono giusti anche nelle tonalità vintage.
A voler proprio trovare un difetto, alle maglie del Pescara, le righe sono troppo strette. A volte “sembriamo” una SPAL. Una Società Polisportiva Arts and Labor è meglio di niente. Sembriamo, già ho scritto così. Difficile per chi è cresciuto insieme alla leggenda di Giovanni Galeone guardare un Pescara che vince, senza sentirsi emozionalmente connesso.
Allo stesso modo quando perderanno, probabilmente proverò lo stesso disdegno per i Pescara sballottati in C, ignobilmente retrocessi in annate balorde. Al momento però, a guidarli dalla panchina i biancoazzurri hanno quest’uomo cresciuto sull’altra costa dell’Adriatico. Pennarello fisso in mano, che non ha mai usato.
Sembrava più una bacchetta, come quella dei maestri. Ricorda ai suoi di pressare, salire e all’improvviso sbotta con un “sono vent’anni che giochi, pressa il portiere”.La mia preferita di Despotovic resta: “sul secondo palo cazzo”, a pugni chiusi incredulo, dopo che una palla lambisce il palo “lungo” della porta avversaria, sguarnita. Italiano, impeccabile.
Nell’area della panchina abruzzese regna una sorta di ordine delle cose, molto diverso da quello della stagione precedente.
Fulvio Colini cerca di trovare il suo Pesaro, uno che gli assomigli più di questo. Alla ricerca di una coerenza anche nei gesti atletici e tattici più semplici. Dal: “Non entrare con la gamba alta, la palla è già fuori” ad un “siamo due contro uno usciamo in mezzo, dai”.
La partita è a tratti nervosa, sicuramente fisica. In qualche modo però è come se qualcuno avesse giocato con una ipotetica manopola della velocità del gioco. È tutto, dannatamente più lento.
Nessuna di queste due squadre, credo abbia ambizioni di primato, di titoli e di coppe di simil metallo. Finisce due a uno per gli abruzzesi, che giustamente festeggiano. Perché le gioie nello sport, come nella vita, le prendi lì dove ti capitano, quando ti capitano. Tutto il resto del tempo è impiegato a cercare di fare meno male possibile.