Con le braccia aperte

Ospite a casa di qualcuno che non c’è. Come se mi avessero lanciato con la mazza fionda direttamente da oltre oceano. È buio, buio pesto quando arrivo, ma i palazzi sono alti, le luci scintillanti, le cliniche sfavillanti, le strade larghe.

La gente qua corre anche all’alba. Le palestre aprono quando ancora il sole deve sorgere. Sinceramente, non me la sarei mai aspettata così la città, di colei che ha fatto trionfare una squadra, tracciando una linea grande quanto un fiume tra chi le partite te le fa vincere e chi guarda chi lo fa.

Braccia aperte come il Cristo Redentore, ma casa tua non c’entra proprio nulla con quel panorama da cartolina. Qua di favelas non ce ne sono, di spiagge neanche, sembra più che altro un piccolo e laborioso nord dove tutti si affanno a fare del proprio meglio.

Ma quando il tuo meglio è strappare la vittoria sul campo significa che non ti alzi alla mattina per andare a fare un lavoro normale, ma far sognare chi ti guarda.

Prima avventura oltre oceano primo trionfo, qualcuna diceva che sembravi una comprimaria ad aspettare sul secondo palo il lavoro di qualcun’altro, peccato che quel qualcun’altro poi è sparito e tu hai continuato a vincere, come nessuna.

Cittadine che pensi piccole e insignificanti, invece quando ci arrivi capisci che forse di questo sport proprio non hai capito granché.

Entro in una casa a tre piani, moderna con un panorama su quella distesa di luci e un cielo pieno di stelle. Voli di qua e di là, anche dentro allo stesso continente, mai ferma anche quando la natura dice basta.

Perché infondo te l’hanno insegnato proprio nella tua città: mai fermarsi, c’è sempre qualcosa da fare. Calpesto la terra che era tua e mi viene subito da pensare a quando hai fermato tutti quei cuori, li hai stretti in un pugno e li hai gettati per terra.

A quando ti sei inventata qualcosa, per salvare quel momento, effimero come tutti gli eventi di sport. Solo i nemici di grande valore vengono apprezzati alla fine della battaglia e lo sai bene, non è la prima volta e non sarà l’ultima.

Qua adesso c’è una casa che non è tua, come un ospite in attesa di un padrone che non arriverà mai. La posizione in cui mi trovo un po’ mi riporta in mente quella foto.

Come quando fermasti quei cuori che erano convinti di scoppiare di gioia da lì a poco. Faccio le valigie appena arrivato, perché già so che questa serata durerà poco, come un sogno di mezza estate, come quella volta, anni fa.

Profumo di casa, profumo di mangiare appena cotto, profumo di bambini che dormono sul divano, profumo d’estate anche se estate non è.

Non pensavo fosse così. Quando il sorriso amaro di una sconfitta viene trasformato in un bel ricordo. Succede nello sport come nella vita, perché l’unico errore che mi hai insegnato a non commettere è di non accontentarsi mai.

Ti rivedo con gli occhiali e i capelli sciolti seduta parlando e scrivendo. Leggendo. Cerco di capire, ma mi risulta difficile per il momento che quelle braccia aperte come un Cristo Redentore adesso sappiano ripeterlo da un’altra posizione.

È una coincidenza, ma arriva la notizia che torni. Che ti rivedranno forse ancora con quelle braccia aperte, oppure inginocchiata.

Non importa, siamo stati entrambi ospiti quando il padrone di casa non c’era e a me basta così. Siamo rotolati un po’ più a Ovest nel giro di una notte e ne è valsa la pena.

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