È una disfatta, grazie?

L’avventura all’Europeo Under 19 degli azzurri di Massimiliano Bellarte termina prima dell’obiettivo fissato: la semifinale. All’illusoria vittoria contro la Francia, hanno fatto seguito due sconfitte.

Polonia e Portogallo hanno messo in luce tutti i limiti di un movimento di futsal giovanile che in Italia è sottile come le scuse che ora ricoprono i ragazzi di ritorno dalla Spagna.

Mentre a Roma andava in scena il Gran Galà del Futsal, in campo nell’arena di Jaén, l’Italia veniva travolta con sei reti dai pari età lusitani.
Ricorrendo ad una citazione cinematografica che adoro: “Questi sono i fatti e non sono in discussione”. Kevin Bacon in A Few Good Men.

All’inizio di questa manifestazione mi sono appuntato una frase, frutto di una considerazione, una confidenza di un dirigente di una federazione calcistica europea.

Parlando di manifestazioni giovanili usò questa espressione: “a quell’età sono tutti uguali, tranne Erik Lamela”. Se non avete idea di chi sia Erik Lamela, potete interrompere qui la lettura.

In un contesto quindi livellato, in qualche modo l’Italia s’è dimostrata incapace di battere anche la Polonia ma abilissima a rifilare tre gol ad una Francia che ha deciso di mettere tra i pali un giocatore di movimento, con una maglia diversa.

La Francia è partita tre anni fa con un progetto giovanile per la nazionale, ha una under 15 e una under 17. Giocatori giovani proiettati verso la Liga spagnola. In Italia? Esattamente quante volte ha giocato la under 15 e la under 17 negli ultimi due anni. Scusate, il Co-Sars 19.

Da cosa ripartire? Dalle lacrime di alcuni giocatori, al termine della disfatta contro li Portogallo. Forse tra i pochi momenti da salvare di questa avventura iberica. Se questi giocatori sono il futuro, esattamente quale futuro attende ad esempio, Isgrò nel suo club?

Le lacrime sono salutari, perché avete perso. Perso e male. Una disfatta come quella del Liverpool che ne prende quattro dal Napoli in Champions League, così la chiamata Sandro Piccinini. Se ne prendi sei, credo si possa usare lo stesso lemma.

Non è bastato, non basta e probabilmente non basterà. Da questo si deve ripartire. Dalla realtà dei fatti, da quelle lacrime così che le prossime siano di gioia. Perché non vuoi stare così male, ancora.

La nazionale italiana di futsal è espressione del movimento del calcio a 5 italiano. Non passa la prima fase di una competizione da sei anni. È espressione del Club Italia, quindi della FIGC. Anche questi sono fatti e non sono in discussione.

La Divisione Calcio a 5, è una mera comparsa nelle decisioni, un suggeritore nella fossa del palcoscenico delle nazionali. Non è un regista, al massimo è un teatrante.

Non ha responsabilità, si limita a presenziare quando non ci sono più pressanti impegni. L’attività delle nazionali si trascina così, in un ciclo di rivoluzioni sempre uguali a se stesse.

Fatte di sogni, di lacrime ma poche di gioia. Di promesse, non mantenute, incorniciate in un passato che diventa sempre più piccolo nello specchietto retrovisore. Non importa quanto lo lucidi, quanto fai per ricordarlo, resta il passato.

Ai club non importa della nazionale. Perché da presidente, puoi sempre comprare un 40enne in uscita da La Liga e quello che accade tra qualche anno non è un problema davvero tuo, perché probabilmente t’occuperai d’altro.

Passano così gli anni. Inesorabili. Nei quali si spende tempo a parlare di progetti, senza mai scriverne nemmeno uno. Una cortina fumosa di parole, puro onanismo verbale.

Mentre i portoghesi entrano nel decimo anno del loro progetto, i francesi nel terzo e gli spagnoli si preoccupano d’un futuro che vedono minacciato. Si proprio gli spagnoli che cercano nei loro giovani la speranza per un futuro migliore.

In Italia il futuro lo si affida a chi quel futuro non lo vedrà, a quelli artefici d’un passato che non è davvero merito loro. Il futsal italiano ha abbandonato il campo dei fatti e dei risultati, per concentrarsi nell’immagine che pensa di vedere riflessa allo specchio.

Così il divario temporale incrementa esponenzialmente quello tecnico. Perché a meno di trovare una ondata di giovani virgulti con il giusto passaporto e la voglia di rinunciare ai milioni di euro del calcio, il futuro non è nostro e di altri.

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