Club come media company

Nel futsal si parla tanto di comunicazione. Spesso è uno slogan elettorale, molto più di frequente è un contenitore riempito con aria fritta. Fritta però, con l’olio d’oliva. In un ambiente dove il ricambio dirigenziale è frenetico come una corsa al Black Friday, non c’è molto da stupirsi.

Il futsal può restare immobile, identico a se stesso, perché sono gli astanti a cambiare, quasi regolarmente. Ad ogni nuovo presidente e dirigente, si può riproporre la stessa ricetta, come se fosse nuova.

Rai Sport, Sport Italia, Sky Sport. Dimenticandosi di raccontare che il futsal fu trasmesso in diretta anche dalla defunta Fox Sports Italia. Chi arriva è esattamente ignaro e non gli importa troppo spesso nemmeno apprendere.

Basta così mescolare semplicemente il pentolone. Dare un giro di chiave al carillon e il motivetto, riparte, esattamente uguale a se stesso, immutabile come uno spettacolo d’incantatore di serpenti.

Tutto questo avanzare, del quale si racconta, è un rincorrere. Ai margini di un mondo che avanza, scatta via e va oltre, spostando il confine dell’intrattenimento, sempre più lontano.

Così distante da tutto questo universo dilettantistico. Accade quindi che in una galassia lontana lontana, il fondo Red Bird, proprietario del Milan, intenda trasformare la società rossonera in una media company.

Con il supporto finanziario e strutturale dei Ney York Yankees, che sono appunto diventati questo: una media company. Lo sport produce spettacolo. Lo spettacolo offerto al pubblico, genera guadagni. Così semplice il paradigma? Ovviamente no, altrimenti non si spiegherebbero i palazzetti semi deserti del futsal.

Eppure si continua a narrarla così. Basta “andare su sky”, un paio di volte e allora frotte di famiglie e tifosi, s’accalcheranno ai botteghini per comprare il biglietto per l’evento.

Perché andare a Liverpool per vedere la partita di Premiere dalla Kop a 10 euro e 47 centesimi, quando posso andare a vedere il futsal di Serie A per 10 euro? Così per amor di cronaca il biglietto aereo d’andata e ritorno, diretto, per Liverpool, ne costa 50 di euro.

Si perpetra con dolo, una narrativa nella quale il futsal non ha competitor, non deve sgomitare con altri sport, non deve lottare contro discipline con più soldi, più seguito, più professionalità, insomma “più tutto”.

Osserviamo insieme frotte di nuovi abbonati alla pay tv per guardare il futsal, 19.90 euro al mese per il “fustal”, ovviamente. Non per la Premier League, Bundesliga o Ligue 1, per vedere Montelusa contro Vigata.

Per ascoltare li racconto di società senza una sede reale, palazzetti che sono tensostrutture. Dirigenti sportivi che in realtà solo volenterosi manutentori. Una narrazione che enfatizza anche il passaggio laterale più banale al mondo. Facendo leva su una generale e diffusa mancanza di conoscenza, delle norme e dell’ambiente sportivo circostante.

Dilettanti nei confini d’un paese al di fuori del quale, sono tutti professionisti. Questo futsal però resta pervicacemente incollato alla sua condizione attuale. Quella che permette in qualche anno di passare dall’anonimato al successo, con una moderata spesa in denaro.

Provate a salire dalla terza categoria alla Serie A di calcio, realizzando una promozione ad ogni stagione. Se ci riuscite, v’assicuro che la vostra storia diventa una sceneggiatura in un tempo inferiore a quello che nel futsal ci vuole per presentare un ricorso avverso.

Un futsal italiano, con una storia effimera come i suoi club di punta, deve trovare spazio tra basket e volley ma anche tra pallacorda e bocce. Però lo raccontano come un grande sport, per fini elettorali. Uno stagno ritratto come fosse l’oceano, in un dipinto di Bob Ross. Uno disciplina troppo spesso invece relegata con determinazione, a passatempo tra amici.

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