Otto partite dell’europeo femminile senza una vittoria. Nove gare consecutive in un europeo nel quale l’Italia femminile di calcio a 11 subisce, una rete.
Sconfitta in questa edizione dal Belgio e costretta a rincorrere il pareggio contro l’Islanda. Presa a pallonate dalla Francia.
Se questo fosse stato l’esito, delle prestazione della nazionale maschile di calcio, oggi avremmo letto sui tre quotidiani sportivi nazionali, titoli di fuoco. Si sarebbero invocate le dimissioni del Commissario Tecnico, misure draconiane per “salvare il calcio”.
Forse per qualche reminiscenza circa il “sesso debole”, invece quest’oggi piovono da ogni parte le giustificazioni. Come se la nazionale femminile fosse una entità da proteggere, quando invece invoca un pari trattamento.
Oggi la nazionale di calcio femminile italiana è l’espressione di un movimento che conta circa settemila tesserate. La nazionale USA femminile è invece frutto d’un movimento che registra oltre un milione di tesserate.
Non c’è altro, semplicemente. Il bacino dal quale si può reclutare talento è così ristretto da non offrire abbastanza qualità. È statisticamente impossibile, non solo improbabile. Le ragioni di una debacle, molto simile a quella de 2017 è tutta in quei numeri.
L’ottima prestazione delle Azzurre ai recenti mondiali, rappresentava l’eccezione, non lo standard qualitativo. Considerazione che si può estendere ai club. La Juventus femminile per poter competere immediatamente in Champions League ha dovuto rinforzare la rosa con una massiccia iniezione di talento straniero.
Quando s’è sbandierato poi, il “successo televisivo” della nazionale femminile, siamo tutti sicuri che a guardarla non ci fossero tutti coloro in cerca della conferma che il calcio femminile, almeno quello italiano, non è vero calcio.
Il Generale, mio personalissimo campione statistico di uno, ha dichiarato: “non possono giocare, non è cosa loro.” Sconsolato. Ha poi deciso di guardare un ATP 250 femminile al posto del secondo tempo della partita con il Belgio.
Tanti piccoli Criscitiello, il proprietario di Sportitalia, la fù “casa del futsal”, si sono ritrovati davanti allo schermo. Per guardare le azzurre affannarsi contro l’Islanda, tirare 30 volte verso la porta del Belgio senza nemmeno inquadrare i pali.
Il calcio giova forse ricordarlo, non è una spettacolo i cui si misura la bellezza, l’impegno, la voglia o qualsiasi altro elemento aleatorio. Il valore ultimo del calcio è il gol. Sugli almanacchi non troverete scritto “ha perso ma ha giocato bene”. Ha perso, punto.
Per questo la nazionale femminile, ha l’obbligo di cercare la vittoria. Come accade per quella di volley e basket. Perché per cercare scuse, accampare ragioni non c’è bisogno di una distinzione di genere.
Tanto nel calcio, quanto nel futsal la così detta crescita, si misura in posizioni del ranking, non con qualche opinabile e soggettivo parametro di gusto. Non è una gara tra un piatto gourmet e la trattoria di nonna Pina.
C’è un calcio femminile, godibile, quasi quanto quello maschile. Lo gioca il Lione e la nazionale americana. Se vi capiterà di guardare giocare una partita della nazionale a stelle e strisce, femminile, ecco di quell’aggettivo vi dimenticherete presto.
Lamentiamo ora “vent’anni di gap” dalla Francia. Eppure in molti s’ostinano a raccontare di una disciplina in crescita, colpevolmente incuranti dei numeri. Nel calcio come nel futsal.
Questo forse è il momento per l’onestà, anche intellettuale.
Tanto il calcio, quanto il futsal al femminile, non sono una versione di genere di una disciplina. Sono evento a parte, con le sue peculiarità e le sue debolezze.
Infine la parte più dolorosa, per tutti.
Non c’è abbastanza talento, siamo genericamente scarsi, perché tra così poca terra da setacciare e normale che si trovino poche pepite e anche molto piccole.
Ripartire da quello che siamo aiuta ad arrivare dove vogliamo.