Ci sono storie che vogliamo conoscere, quelle in cui inciampiamo per caso e quelle che troviamo voltando pigramente la pagina d’un libro. Questa inizia però fuori da un ufficio postale, da qualche parte in Ungheria.
In una città, incastrata tra la foresta magiara e i suoi laghi, percorsa dai tram, quelli con filo e nelle cui strade il tempo sembra essersi apparentemente fermato. L’ho sempre adorata quell’architettura mitteleuropea, probabilmente perché mi ricorda un periodo più spensierato di questo.
L’occasione di sorprendermi, questo è il motivo che alimenta la mia curiosità e queste righe. Tünde non può essere solo i suoi occhi decisamente troppo blu. Non può essere la giocatrice di futsal, il portiere che ti difende da una sconfitta. Quella che giocava a pallamano, deve essere molto di più.
Potrei raccontarla come la donna capace di spedire a casa un pacco con quattordici chilogrammi di libri. Perché i libri non bastano mai anche se caricano le pareti e gli scaffali. Nutrono la mente e allora, non se ne può fare a meno.
Diventano digitali e s’incrociano con l’altra passione che abbiamo in comune, i videogame. Questo punto di contatto fa mutare il linguaggio, il registro della comunicazione vira. All’ìimprovviso e se ci riconoscessimo, come se quella passione comune, ci renda più simili e meno lontani.
Donna di lago Tünde, di quelle che si dovrebbero portare un po’ di malinconia sempre negli occhi e invece, i suoi, sorridono. Spesso, in quella strana maniera contagiosa che impedisce agli altri d’essere tristi, almeno per un po’.
Nel suo raccontarsi, quasi pudico e riservato, c’è molto credo della sua educazione. Di una storia familiare che si dipana tra famiglie allargate, la severità di chi ha indossato l’uniforme e la rigidità di chi ha passato una vita ad insegnare agli altri.
C’è qualcosa però che vi porterete inevitabilmente via da quell’angolo d’Ungheria che lei chiama casa, sono i colori. Non ci sono mezzi toni, la foresta in autunno rende tutto decisamente rosso. L’inverno si porta quel grigio che si riflette sugli abeti come sulla superfice del lago ghiacciata.
Lei è così, come quell’angolo di mondo e forse come tutti quelli che ha incontrato nella sua vita d’atleta. È decisa come quei colori, se vi voltate a guardala mentre gioca sembra sempre estremamente concentrata, un solo colore.
Al termine dell’incontro però, torna a sorridere. Perché è l’abito più bello da indossare, quello che si riflette meglio negli altri, quello che in troppi dimenticano a casa nell’armadio.
Tünde quasi dimenticavo, se logghi, scrivimi. Ci vediamo in quel mondo fatto di pixel che è da esplorare esattamente come questo.