Francia 3 – Italia 0, la lezione dell’hype

L’Europeo femminile di calcio a undici, è l’unico evento estivo, degno di nota per i calciofili.
Il mondiale è atteso per l’autunno, l’Italia maschile non ci sarà. Non resta che fare il tifo per le azzurre.

Così almeno ha strombazzato ai quattro venti il canale tematico di Sky Italia. “Dopo l’ottima prova delle azzurre al mondiale”. Ottima prova? Non siamo andati a medaglia. Il battage però prosegue e comprende l’annuncio del riconoscimento del professionismo nel calcio femminile.

S’è creata così laspettativa, necessaria a vendere il prodotto. Lo sport professionistico peroò è showbiz. Ha le sue regole, richiede il suo tributo. S’è creata quindi, intorno alla spedizione azzurra una aspettativa agonisticamente irrealistica.

Quando i sogni indotti artificialmente, si sono scontrati con la realtà, “that’s when shit hit the fan”, vi direbbero gli anglosassoni. Cinque gol in quarantacinque minuti di calcio. La nazionale italiana presa letteralmente a pallonate. L’umiliazione di veder uscire con mezz’ora d’anticipo sul fischio finale, i tre migliori giocatori avversari in campo.

All’evidente gap tecnico e tattico, di cui ci si è accorti, fingendo, solo a posteriori, ecco aggiungersi l’effetto catastrofico di un difetto di comunicazione, strutturale del movimento.
Milena Bertolini, commissario tecnico dell’Italia femminile di calcio, nell’immediata vigilia dell’esordio dichiarava: “Ci dobbiamo divertire”. Nel dopo gara ha aggiunto: “dobbiamo ripartire dal secondo tempo”. Are you f. kidding me?

No.
Se pratichi un passatempo, uno di quelli per i quali ricevi anche un rimborso, ecco allora, forse puoi anche farlo per il divertimento o anche per quello. Quando diventa la tua professione, cambia anche il fine.

Quando nel secondo tempo, le avversarie controllano la partita, fanno entrare le riserve e solo un generoso VAR ti salva dal finire l’incontro in inferiorità numerica, non puoi ripartire da li.

La professione del calciatore si dipana sul campo, il suo prodotto è la vittoria. Deve ottenere quella prestazione e quel risultato che diverte il pubblico, lo intrattiene. Il calcio è showbiz, nel quale sono impiegati degli atleti.

La dimensione della comunicazione della Bertolini, è coerente alla dimensione parrocchiale che ha sempre avuto il calcio femminile. “Ci dobbiamo divertire” è consentito, in una attività sportiva di nicchia. Le frasi fatte, i luoghi comuni sono troppo consunti per riciclarli ancora.

“Attenti a quello che desiderate, potreste ottenerlo”, frase attribuita a Oscar Wilde.
S’adatta perfettamente a tutti quegli sport, considerati minori, che ambiscono ad un posto sotto i riflettori dei media, che bramano l’attenzione del grande pubblico.

Il calcio femminile, come il futsal, non è culturalmente pronto e resistente, per affrontare le orde di pubblico assetate di sangue, qualsiasi sangue. Non hanno la “pelle dura” necessaria per sopravvivere alla critica feroce, ad attraversare i massacri della critica.

Il futsal poi è particolarmente fragile nella sua comunicazione autoreferenziale. La critica è rara come l’affiorare del mostro di Lochness. Il movimento è avvolto da una sorta di girone dantesco deamicisiano. Nel quale le notizie passano al vaglio della maestrina dalla penna rossa e tutti sono vestiti d’azzurro con i bottoni d’orati, come derossi (no, non il giocatore ex roma, l’eterno capitan futuro).

Il “fail” clamoroso delle azzurre contro la Francia, è sportivamente accettabile, la differenza anche solo di ranking lo rende perfettamente normale. L’effetto devastante che ha generato nella credibilità del calcio femminile come sport, non è colpa delle atlete. La responsabilità ricade su coloro che promuovo colpevolmente un prodotto diverso da quello che esiste in realtà.

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