Ho imparato qualcosa

Il futsal confinato sul campo, all’interno del rettangolo di gioco, raccoglie pezzi di quello che accade intorno. Ne risulta un composto di elementi che solo all’apparenza appaiono incomprensibili. Questa storia inizia con una voce al telefono, l’autostrada che scorre in sottofondo.

Un racconto che poteva non essere. Stroncato così sul nascere, all’alba di una stagione che poteva non divenire. Si ritrova però aggrovigliato alla necessità di comprendere per poter raccontare, la storia di una squadra. Quella nata perché fortissimamente voluta. Destinata per molti a retrocedere che invece s’è piazzata al nono posto.

Una storia che trova le sue ragioni nelle mie domande, quelle come edera rampicante s’avviluppano intorno all’uomo che su quella panchina dirige, si agita, incita, sprona. La necessità di capire perché a dar opinioni senza conoscere, c’è già troppa gente.

I suoi modi, quella intensità devono avere una origine, devono avere una risposta che solo quell’uomo può darmi. Ecco, le risposte sono però pericolose da maneggiare, possono non piacerci, possiamo faticare a comprenderle ma dobbiamo rispettarle.

Sono un po’ come la verità. Sono relative al contesto, alle persone, al vissuto del nostro interlocutore. Senza tutti gli elementi, si tramuta in quelle piccole menzogne che ci diciamo tutti per sopravvivere, a questo periodo di tempo chiamato vita.

La voce che risponde alle mie domande è quella di Riccardo Russo.
Queste righe esistono perché l’ho ascoltato pronunciare una frase: “in questa stagione ho imparato molto”. Credetemi, non è usuale e nemmeno facile da vocalizzare.

Passata una certa età anagrafica si tende a pensare di non aver nulla da imparare, a rifiutarsi di cambiare anche quando tutto intorno a noi, ci dice che dovremmo farlo. Chapeau, come direbbe Cassano, per chi davanti ad un ostacolo, prova la strada del cambiamento. Anche senza riuscirci del tutto.

Una storia di donne: Greta, Gaby, Jessica e Thali. Perché se questa stagione ha per me davvero un senso sportivo e nel loro miracolo, sportivo ed umano. Ma è la storia anche di Riccardo, inevitabilmente. D’un rapporto che sarà sempre difficile perché agli uomini, l’universo femminile risulta difficilmente intellegibile.

Donne che vorremmo fossero più come noi, mantenendo però anche le loro peculiarità. Non è semplicemente possibile. Donne che dobbiamo rispettare professionalmente anche senza amarle davvero. Difficile vero? Se fosse semplice, lo farebbero tutti.

“Voglio migliorare i giocatori”. Un proposito e una sfida.
Talvolta difficile da accettare, da intraprendere e da portare a termine. Perché si devono incontrare i momenti della vita. L’intensità deve essere la medesima, le personalità si devono incastrare per comporre il puzzle che ti porta dal nono posto al quarto.

La competizione c’è chi la vive come ricerca dell’eccellenza. Chi considera solo la vittoria come risultato possibile. Una spinta che genera una energia che spesso travasa dal bacino della vita personale in quella di altri. I risultati non sono sempre quelli sperati.

Tutto questo però completa, almeno per me, il ritratto di quell’uomo che vedo muoversi sulla linea laterale della Kick Off. Contestualizza il successo di un gruppo che ha valicato i suoi limiti tecnici e tattici e non l’ha fatto completamente da solo. Delinea i contorni di una storia, che non è solo quella che appare.

Queste righe hano percorso una strada stretta, spesso piena d’angoli bui. Quella dentro alla vita delle persone. Perché sono percorsi irti d’ostacoli, richiedono attenzione e gentilezza, anche con chi non l’ha usata con noi. Un sentiero che non termina con la fine della chiamata.

Amerò questa stagione della Kick Off, più di quelle delle coppe. Perché ho amato le donne dentro questa squadra più delle loro abilità tecniche. Per la loro capacità umana di spremere ogni occasione fino in fondo. Perché succedere ad una squadra che prendeva a sberle gli avversari, prendendo quegli stessi schiaffi sulle proprie guance non deve essere stato facile.

Le amerò per le lacrime di tutte loro, per la gioia inaspettata che è sempre la migliore e anche per Riccardo. La sua commozione al termine della stagione era genuina. Oggi comprendo gli uomini di questo sport un po’ meglio perché lui ha scelto di condividere con me, un pezzo della sua vita, delle sue idee.

Il racconto di uno sport, passa dai suoi personaggi. Quelli che comprendiamo meno abbiamo l’obbligo di conoscerli, per poter anche scegliere di percorrere strade diverse. Queste sono le mie parole, che prenderanno strade che non ho immaginato per loro. Questo è il mio sguardo su una storia che in troppi pensano di conoscere.

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