Vorrei scrivere più spesso futsal e meno di frequente: “calcetto a cinque”.
In un misto tra desiderio e speranza, che questa disciplina si sollevi oltre il margine del dilettantismo. Inteso come superficialità e faciloneria.
Il Pesaro annuncia che rinuncerà a partecipare alla Futsal Champions League nella prossima stagione. Come in un telefono senza fili (che gli inglesi chiamano Chinese Whisperers), di quelli con il quale giocavano i bimbi del secolo scorso, la notizia si distorce man mano che si diffonde. Termina con un: “la Feldi Eboli in Champions”.
Qualcuno s’è per caso preoccupato di controllare se il Pesaro può in effetti rinunciare a partecipare alla competizione UEFA? Esistono dei regolamenti, ci sono rapporti tra federazione intesa come FIGC e UEFA che disciplinano appunto, le pratiche d’accesso alle competizioni internazionali.
In breve, è bastata una telefonata. A chi, con i regolamenti lavora tutti i giorni. Pensate contribuisce perfino a redigerli. Per scoprire che l’unica istanza che fino ad oggi ha portato in Champions una squadra che non ha vinto il suo campionato e quella che ha visto la rinuncia alla attività agonistica della detentrice del titolo nazionale.
C’è da comprendere quindi ora, come questa governance gestirà una questione che ha più il carattere politico che quello sportivo. La Divisione Calcio a 5, potrebbe in effetti, comunicare un nome differente da quello del Pesaro, questo però scoperchierebbe un autentico vaso di pandora.
Perché la seconda classificata, non la terza, la quarta o la quinta. Inoltre, rinunciare ad una competizione comporta solitamente una pena. Un po’ come quando si rinuncia a partecipare ad un campionato, ad una partita. La UEFA Champions League non è un torneo ad inviti, organizzato solitamente in Spagna, nel quale ci si autoproclama “cambioni d’europa”. È una manifestazione ufficiale.
Nessuno nega le difficoltà che una riforma imposta e non condivisa generi in società dilettantistiche che hanno come unico progetto, quello di vincere, subito. Con la stessa onestà bisognerebbe riportare la scarsa competitività di una Serie A che è il “Buen Retiro” di troppi giocatori più vicini ad appendere gli scarpini al chiodo che all’apice della carriera.
Sportivamente, cosa è cambiato esattamente per il Pesaro?
Nella città del basket, resta l’allenatore più vincente del futsal italiano. Lo stesso numero di stranieri che impiega il Kairat. La squadra delle steppe che ad ogni nuova stagione ambisce alle Final Four di Champions. La scorsa stagione a pieno regime d’organico, la squadra marchigiana non è andata oltre il Main Round. Esclusa dal clamoroso biscotto russo. Finire all’ultimo posto del girone o non qualificarsi, rappresenta una differenza trascurabile. Mentre l’anno prima fu l’ACCS delle banlieue, poi retrocesso d’ufficio, a eliminare il Pesaro.
Mentre questo accadeva il Kairat, di non nativi della steppa, ne schierava solo sei. Non vedo piangere Higuita sulla capacità di competere della sua squadra. Piuttosto ricorda a tutti, al Barcellona in primis che “il pianto è sempre libero”. Lo Sporting Lisbona ne può annoverare solo cinque. Eppure sono lì a contendere al Barcellona il trofeo più ambito.
Non c’è nessuna “brutta figura” da rischiare, perché al di fuori dei confini d’Italia non c’è palmares o rilevanza. Quindi largo ai giovani, quelli che quando li mandi in campo, perdono dalla Bosnia. Bisognerebbe ripartire da lì. Da quello che siamo, non da quello che siamo stati, quando giravano ancora le VHS.