Arena di Riga, diecimila cinquecento posti a sedere. Dipende poi molto dalla manifestazione, durante i Riga Masters di snooker si registra il tutto esaurito di quattordicimila cinquecento spettatori.
In diretta streaming, per l’Italia su UEFATV, il portale tematico della Union of European Football Associations, va in onda questa fase finale della Champions League, maschile, di futsal.
Cerimonia d’apertura delle Final Four, degna delle grandi manifestazioni. Quelle che da fruitore sono abituato ad associare al calcio, pallacanestro e perfino il volley. Una sorta di “quasi” Eurolega. In campo i francesi dell’ACCS, che militano in seconda divisione e i detentori del titolo dello Sporting Lisbona.
Vorrei avere le competenze dei dotti e sapienti narratori del futsal italico per potervi parlare anche dell’aspetto tecnico e tattico delle partite, ma m’annoiano oltre misura e per parafrasare Caressa: “ma a chi interessa davvero parlare di principi e di moduli”.
Per questo mi colpiscono le cheerleaders a bordo campo, dietro ad una delle porte. Pompon bianchi, sembrano quelle dalla NFL, coordinate, molto belle, un tocco di colore che non sembra stonare con questo contesto sportivo del futsal.
I marchi dei grandi sponsor scorrono sui led pubblicitari. Contribuiscono a costruire un quadro di professionalità intorno all’evento.
A differenza di quello che accade, quando entro in uno stadio di calcio. Lungo le linee scorre l’elettrauto del vicino, il negozio di materassi. Amplia certamente il senso d’appartenenza locale, restituendo però anche quell’idea di lontananza dalla vetta dello sport professionistico. Quello che vede scorrere sui lati del campo l pubblicità dell’ultima generazione di console per videogiochi.
I francesi dell’ACCS che schierano Ricardinho come amuleto più che come giocatore, resistono quanto possono e poi si schiantano pressati da una squadra destinata a disputare la quinta finale in sei anni. Avversari dello Sporting Lisbona dovevano essere i russi, quelli del clamoroso “biscotto” rifilato al Pesaro nel main round. L’invasione russa dell’Ucraina li ha esclusi dalla competizione.
Alle venti, arriva il piatto forte di questa Final Four. Barcellona – Benfica. Due squadre portoghesi tra le prime quattro d’Europa. Questa però, è la stessa squadra che solo qualche mese or sono perdeva contro l’altra metà di Lisbona, subendo l’onta di un sette a uno difficile da spiegare ai tifosi.
Già, i tifosi. Quelli veri, da entrambe le parti. Non spettatori, ma i Dracs 91 per il Barcellona e parte del Grupo Tasca 04 per il Benfica. Perché questo è quello che accade quando in campo ci sono i grandi club. Quelli del calcio per intenderci.
I tifosi ci sono già, non bisogna crearli, inventarli o cercarli, basta semplicemente: portarli.
All’intervallo il Benfica è avanti di tre gol. Se rientra e regge i primi minuti, potrei vedere domenica una finale tutta portoghese. Questo potrebbe rappresentare l’apice di quel programma decennale che ha portato la nazionale portoghese ad essere bi-campione d’Europa e nel mezzo, Campione del Mondo.
Invece il Barcellona esce dagli spogliatoi, letteralmente, e accorcia le distanze. Il Benfica sembra un pugile che ha preso un pugno nel suo punto debole e vacilla, si fa rimontare e va addirittura sotto. Quattro a tre, per gli spagnoli e un respiro di cronometro ancora da giocare.
Il futsal, come il basket è così. C’è sempre quell’ultimo tiro, sulla sirena, l’ultima possibilità. L’agguanta il Benfica che porta la partita ai supplementari. Sul campo è sfida fisica, tecnica e sembra di guardare questo sport per la prima volta, così lontano da quello che si disputa qui, in Italia.
Mi chiedo se quelli che s’esaltano per quello sport fatto di contatto fisico limitato da: “Signore, le mani”, indicazione ossessivamente ripetuta dai direttori di gara, percepiscono la distanza tra le due discipline. Questa permette di costruire una partita anche usando il portiere costantemente in appoggio alla manovra offensiva, finalizzata poi anche tirando da lontano.
Quindi si può segnare nel futsal cercando anche la conclusione dalla distanza, con il portiere. Quello del Barcellona scheggia l’incrocio dei pali, da metà campo. Si può abbracciare l’avversario, con un blocco che arriva dalla MMA più che dal futsal.
S’avvicinano intano i rigori. Com’è però quell’adagio: “non è finita finché non è finita.”
Mancano diciassette secondi ai calci di rigori. La palla arriva nel mezzo dell’area del Benfica. Un difendente dei lusitani cerca di indossare la maglia di Adolfo con il numero nove del Barcellona ancora dentro. L’aggancia sul secondo palo, qualche attimo prima che arrivi il pallone. Letteralmente avvinghiati, Adolfo viene spinto all’indietro e cadendo con il piattone intercetta il pallone e manda il Barcellona in finale e il Benfica all’inferno della finalina.
Diciassette secondi, così recita il cronometro, mentre anche i vecchi tifosi al seguito dei Dracs sono impazziti, perché questo è “mas que un club” anche se si tratta di futsal. Riguardo l’azione. Mi colpiscono gli otto secondi che precedono il gol. Il tentativo disperato di Adolfo, di liberarsi dell’avversario che cercava di usarlo come manicotto per l’inverno.
Non esiste la fortuna, come la sfortuna. Esiste l’esercizio delle probabilità. Se butto la palla in mezzo all’area avversaria e sul secondo palo c’è un mio compagno marcato, chi ha più probabilità di segnare? Il giocatore che attacca o quello che difende?
Riga, Lettonia.
All’orizzonte che si staglia verso il confine russo, s’addensano le nubi della guerra.
Per una sera però, in una vera arena, va in scena uno sport che mi tiene incollato alle sue immagini. Raccontato da una sola voce, capace di mescolare sapientemente la sobrietà del narratore con l’emozioni dell’evento.
Ho alzato il volume, per essere un po’ più vicino al campo.
Ci vediamo Domenica, dalle 17.00 in diretta. Perché questo è uno spettacolo diverso, di uno sport davvero bello. Perché in campo ci sono due squadre vere, Il Barcellona e lo Sporting Lisbona, nomi che anche per un tifoso di calcio evocano ricordi, suggestioni e interesse.