Il fattore emotivo

Partecipare ad una competizione sportiva. Investendo una somma di denaro, con la quale è possibile acquistare una Ferrari. Per avere la probabilità d’alzare una coppa, in simil metallo.
Perché?

Ci deve essere una ragione che trascende l’aspetto economico. Un imprenditore partecipa ad un business, per trarne profitto. Quali sono le ragioni che lo spingono ad abdicare a questa possibilità, investendo in una disciplina come il calcio a cinque, anche femminile.

Probabilmente per la medesima spinta, che spinge un emiro a comprarsi la terza McLaren e la quarta Lamborghini. Il riflesso emotivo. L’acquisto di una macchina di lusso, di un prototipo ma anche di un enorme yacht, rappresenta qualcosa che trascende il valore reale. Sono le condizioni emotive a generare un tale acquisto, ad essere importanti.

Accade qualcosa di simile, anche nel calcio a cinque, femminile. Legislativamente impossibilitato a generare valore dalla cessione dei cartellini, condizionato da una fiscalità propria dei dilettanti. A meno di perseguire pratiche delinquenziali è impossibile generare un guadagno.

Campionato a dodici squadre. La Serie A italiana di futsal femminile, non genera significativi incassi al botteghino, contribuisce finanziariamente alla messa in onda delle sue partite, non ha un mercato per il suo merchandise che tra l’altro non commercializza.

Paga per avere qualcuno che parli del movimento. Numeri alla mano, per ricevere del denaro sul web attraverso la pubblicità passiva ad esempio di Google, sono necessari 50mila accessi al mese. Gli spazi più noti non ne raggiungono i mille, unici.

Quando qualcuno, appena arrivato sulla scena, spesso si lancia in dichiarazioni quali: “il futsal femminile è in espansione”, si tratta in realtà di un eco di parole consunte, già ascoltate. Non accadeva allora, non accade oggi.

Per un termine di paragone, nel 2019, la NWSL ha generato una media di 7, 337 spettatori. In una nazione, gli Stati Uniti, nei quali il calcio femminile ha un appassionato seguito quasi religioso.

In un calcio maschile professionistico che s’affanna a trovare nuovi spettatori, che fatica a generare valore aggiunto ad un prodotto planetario, rilasciare certe affermazioni per il futsal, dovrebbe essere qualcosa d’espresso analizzando i dati, non i sentimenti.

La risposta alla questione iniziale: perché un imprenditore investe nel futsal anche femminile, credo sia proprio nel titolo. Cede al richiamo emotivo, della vittoria, del plauso anche se solo di un pubblico limitato. 

Gloria effimera, quasi misconosciuta, ma pur sempre gloria. Non luminosa però, come si crede prima d’averla raggiunta. Tanto da indurre presidenti di successo, imprenditori affermarti, a cercare presto nuovi lidi, altri sport.

Con un pubblico maggiore, una risonanza nazionale e internazionale maggiore, capaci quindi di restituire una onda emotiva decisamente superiore, all’esperienza precedente. Investendo se necessario, perfino somme di denaro, più ingenti.

In uno sport competitivo, vince uno. Il compiacimento emotivo spetta ad uno solo. “This school is about combat, there is no point for second place”, perché la citazione cinematografica è necessaria, sempre.

Non c’è gloria nell’arrivare secondi, perché quando qualcuno “t’alza la coppa in faccia”, ci sono centinaia di migliaia di euro gettati al vento per ottenere una delusione sportiva che si poteva anche ottenere gratis o quasi.

Non c’è differenza tra arrivare secondi in campionato oppure fermarsi al nono posto. Se non l’enorme divario nell’investimento economico. Tutti e due non hanno vinto, nulla. L’albo d’oro del futsal riporta il nome dei vincitori, solo quello.

La crescita di un movimento sportivo non è una questione emotiva, ma organizzativa e manageriale. Costruita sulle fondamenta, spesso scomode della realtà di uno sport. Quella dura da ascoltare, da comprendere per poi accettarla.

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