Eroi improbabili e decimi di secondo

Ventiquattro decimi e poi sette decimi. Sono misure che nella vita corrispondono ad un battito di ciglia, delle quali non c’accorgiamo nemmeno. Nel futsal diventano un inenarrabile viaggio dentro e fuori le emozioni di una vita intera.

La colonna sonora di questa storia, è il frastuono del palazzetto. La cornice è anche il vecchio che distribuisce i cicchetti e chi grida, come se non ci fosse un domani. La bellezza di questo piccolo sport, risiede nei suoi improbabili eroi. Quelli che chiami per nome, non sono solo un cognome e un numero di maglia.

Accade così che per una volta, non riesca a stare così vicino all’azione, a restare sulla linea laterale. La distanza emotiva è così risicata, da indurmi ad aumentare almeno quella fisica. Dentro ad alcune di quelle maglie, per me ci sono le storie, di quelle persone.

Quelle che per qualche accidenti della vita mi sono ritrovato ad incontrare.
Roberta e Matilde.
Eroi più improbabili, quelli da film della Disney.
“Volevo tirarlo dall’altra parte”, una.
“Se sbagliavo (potete aggiungere a piacere una scelta cruenta”), l’altra.

Ne immagino una, domani a raccontare mentre gira tra le corsie, sistemando prodotti, di quella volta che ha calciato un rigore decisivo, per andare in finale. Della corsa a prendersi l’abbraccio dei tifosi, quelli che saranno anche quattro ma li conosci davvero. Roberta.

La sua è una gioia contagiosa, piena di lacrime e ci sto provando ad abituarmi ma, no è impossibile. Per quanto mi sforzi questo impasto di felicità e lacrime è difficile da comprendere per me.
Oggi le mie di parole, non puoi leggerle che così, dritte verso di te, senza che tu pensi che possano essere per te.

Tu che volevi essere Cely Gayardo, per dieci lunghi anni. Lei che ti confessa che voleva essere te, in quell’ultimo rigore. Com’è folle questa vita, vero?

L’altra, quella che: “guarda ho degli occhi bellissimi”, “no, non è vero”. Con una capacità di migliorare se stessa, nelle attività che sceglie di fare che non m’è mai capitato di rivedere in campo. Prima di quella lunghissima camminata verso il dischetto del rigore.

L’avevo vista quasi nascondersi in fondo alla fila, sperando di non dover andare lei, dal dischetto. Perché le tue emozioni, dalle mani arrivano fino a dentro quel pallone. Tutte le sue parole, i suoi racconti, i dubbi, li ho visti allungarsi sotto ai suoi scarpini.

Chissà quanti altri, dei quali non m’ha parlato, c’erano a sommarsi l’un l’altro.
“Non lei, andrà in pezzi, se sbaglia”, ho pensato. Ma tu avevi più fiducia in te, di quella che io ne avevo di te. Sei diventata sul parquet, la giocatrice, quella che ho conosciuto sui campi digitali. “Se scuote la rete, oggi diventa un giocatore vero”.

Ne ho viste tante di lacrime, in queste semifinali, ma della gioia di Matilde mi rimarrà impresso, il timore che non fosse vero, che non l’avesse realizzato davvero lei. Un rigore decisivo non solo per la squadra, per il risultato ma soprattutto per lei.

Time to go big or to go home.
Così gli anglosassoni definiscono le finali, in genere anche tutte le partite che generano un solo vincitore. Arriva il tempo dei centesimi, di secondo.

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