“Ila, tranquilla, non potevi farci un cazzo”.
Già come accada a volte nella vita. Inevitabilmente.
Non c’è dubbio che la medaglia per il secondo posto non sia bella come la Coppa Italia. Ma non è che la Coppa sia proprio bellissima.
Se c’è però una lezione, da trarre da questa sconfitta per le ragazze sarde è, quella urlata dagli spalti. Da quel ragazzo con barba e vuvuzela di plastica, che le ha incitate per tutto il tempo.
“Non potevi farci un cazzo”
Non vi consola certo essere stata una storia, era meglio essere una favola, ma anche qui, ripetiamolo insieme “non potevi farci…” Le storie senza lieto fine potrebbero però avere un loro significato. Diverso da quelli che uno s’aspetta di riportare a casa.
S’archivia così la vostra avventura, che è stata davvero tale, dentro e fuori un momento di sport, dentro e fuori da uno scontro che avete affrontato portando a casa i lividi, le ferite e i ricordi.
Ho per questa ultima partita, imparato i vostri nomi. Grazia con il suo gorilla sulle spalle, Gloria che ha il piglio dei centrali difensivi di mezzo secolo fa. Sabrina che ha più ferite sulle gambe che se avesse fatto un ironman. Per il tuo Giorgia, mi sono dovuto far aiutare, lo confesso. Infine Ilaria, si Ila, quella all’inizio di questo racconto. Perché senza le sua presenza li, nulla di tutto questo sarebbe accaduto.
A voi grazie, anche se non sono riuscito ad incrementare la mia personalissima collezione di maglie. Ho messo via tanti ricordi però, quelli credo siano il regalo più bello.