Certi talenti, incutono timore.
Imparano da piccoli ad essere coraggiosi. Perché in strada, tra la polvere, si perdono in tanti. Capiscono in fretta, che arrendersi non è possibile, semplicemente perché, non c’è nulla a cui tornare.
In una vita che t’insegna presto, che c’è solo una direzione, quella che ti porta avanti. In quell’esistenza impari, rapidamente, cos’è che ti manca. Quando è l’essenziale, ti monta una rabbia dentro che fai fatica a contenerla.
A qualcuno capita di trasformarla, in carburante per il talento. In fondo la rabbia è un letame del cuore e della mente, giusto farne un bio-fuel.
Le persone così, vibrano ad una certa frequenza.
D’azioni, d’emozioni, di idee e perfino di parole.
Tainã è così. Il suo talento sul campo è uno strumento, tagliente. Così affilato che spesso con quello, s’è ferita anche lei.
“Spacca gli spogliatoi”, “è divisiva”, “vuole comandare”. Queste frasi hanno in comune il loro utilizzo. Sono etichette incollate con superficialità sulle spalle dei giocatori di grandi qualità tecniche.
Nascondono nella loro semplificazione, una ineluttabile realtà. Quella che preferiamo non raccontare, perché mette a nudo, l’inadeguatezza di altri. Il Talento di Tainã, scritto con la T maiuscola, si rivela in relazione anche alla mancanza di talento di altri.
Invece di sentirci spronati a migliorare, a raggiungere quel livello, preferiamo denigrarlo. Eroderlo fino al punto di spingere lei, al nostro di piano d’azione, più in basso.
Così la pletora d’allenatori solo sulla distinta e talvolta nemmeno li, s’affrettano a bollarla. Presidenti in cerca d’affetto in un abbraccio, non ne riconosco nemmeno le qualità umane.
Guardo questo ritratto di Tainã fatto di parole di altri. Ha più crepe di quelle evidenti solo ad una occhiata distratta. Lei è davvero come la dipingono?
Tra le mura degli spogliatoi, qualcuno racconta una storia diversa. Di dialogo, di confronto, di sudore e si anche di quella critica feroce. Chi l’ha allenata, davvero, chi l’ha gestita nella estrema complessità di una casa comune, tutta al femminile.
Si rincorrono le stesse parole, da persone diverse. Il suo tiro da fuori. Non solo la forza, ma la capacità di indirizzare il pallone. L’estro, la capacità di vedere e “fare”, la giocata.
“Pensa di essere la migliore di tutte”, dov’è che l’ho sentita già questa frase. Sono sicuro d’averla ascoltata tante volte nell’ultimo decennio.
Da Zatlan Ibrahimovic. Mettete da parte: “Zatlan”, tornerà utile più avanti.
Se ti chiedo di metterci il mio impegno in quello che fai, sono una che spacca gli spogliatoi? Se ti dico in faccia che passeggiare sul campo non basta, sono una che si lamenta sempre?
Quando provi a plasmare qualcosa, capita che qualche pezzo si rompa, allora per questo sono una che “spacca” e non solo gli spogliatoi? Possibile. Come lo è la mediocrità.
Mediocrità che ti consente di trovare scuse e non soluzioni, d’invocare la sfortuna, di non essere mai criticato. Perché ammettiamolo, quelli che non vincono, sono sempre simpatici a tutti.
C’è un momento nel quale comprendi che puoi anche scegliere parole diverse, senza però che l’interlocutore sia disposto ad ascoltarti davvero.
Tainã è tante cose, tutte tranne mediocre. Forse è anche prigioniera del suo personaggio, perché è stanca di doversi spiegare, ogni dannata volta. Stanca che le sue parole abbiano meno peso, delle voci di altri.
Adoro il suo essere in perenne evoluzione. Un moto perpetuo. Condividiamo la stessa considerazione del tempo, che non sembra mai abbastanza per realizzare tutte le sue idee. Un tempo che corre più lento di lei.
Come un volano, genera elettricità. Con quella puoi alimentare progetti, oppure puoi prendere la scossa, farti del male. Mi sfugge la predilezione di molti attori del futsal femminile, per il dolore autoinflitto.
Lei è talvolta, come carta vetrata, di quelle a grana grossa. Qualcuno ha provato mai a voltare quella parte, per vedere cosa c’è. Io l’ho fatto. C’è una donna di uno spessore umano, raro. Capace di uno slancio di generosità tale, da renderlo difficile da ripagare.
Una donna di fede, che a guardarla dagli spalti d’un palazzetto non l’avrei mai detto. Di quella fede che non è solo dottrina religiosa, ma capacità di credere.
Il suo genio sul campo, ha un contrappeso. Quel lato oscuro, che abbiamo tutti e che le ha precluso anche palcoscenici importanti. In un mondo che derubrica con facilità quello che non comprende.
Lo stesso lato oscuro, che il mondo sportivo, nella sua interezza, perdona a Zatlan. V’avevo detto che il nome tornava utile.
Quando lo svedese ripete: “Sono il migliore al mondo” e non lo è, giova ricordarlo, nessuno si scaglia definendolo arrogante.
La sua narrativa, s’è così radicata nell’immaginario collettivo da diventare un segno distintivo. Da essere un tratto di carattere per il quale gioca ancora a 40 anni, tre o quattro partite l’anno.
In questo futsal femminile, ancora popolato di direttori solo negli articoli sponsorizzati, permeato dalla volontà di non guardare oltre.
Oltre è un posto pericoloso, perché sconosciuto.
Franciele Dos Santos Mioso Tainã, si trova lì, oltre. I clan, le combriccole, le amicizie di facciata, le relazioni pericolose.
Dentro al cuore però di quelli che lasciano che sia ciò che vuole essere. Per sorprenderci e non solo sul campo.
“Dear Los Angeles
You are welcome”
Pagina bianca sul Los Angeles Times, acquistata da Ibrahimovic, al suo arrivo ai Los Angeles Galaxy.