Le settimane che precedono la fine della stagione, successive agli impegni della Final Eight, costituiscono uno degli esemplari momenti di noia anche nella comunicazione, del futsal italiano, nella sua massima espressione.
Il primo titolo è stato assegnato, quella Coppa Italia maschile finita ancora nella bacheca del Pesaro. I rapporti di forza in campionato sono definiti e non sarà certo un piazzamento in post season a cambiarli.
Nel femminile, due giornate alla fine. C’è la prima retrocessa, una seria candidata ad emularla. Il lungo preambolo della regular season, volge al termine.
Si leggono ancora, le medesime interviste. Come se, al netto delle stesse semplici domande riproposte ciclicamente, si debba rispondere in “calcese”.
“Da qui alla fine, ogni partita è una finale”
“La Coppa è Speciale”, forse però anche lo Spritz.
Sulla superficie delle cose, solitamente si galleggia.
Nel timore di perdere un cliente, si resta impigliati in questa narrativa sportiva, facilmente dimenticabile. In questo racconto di calcetto, nel quale il comunicato stampa cambia d’abito, restando però immancabilmente velina.
Il suo compito non è quello di raccontare, ma di rappresentare. Andare in scena, per ricevere l’applauso di uno. Non deve intrattenere, non ne ha bisogno. Non è alla ricerca di quel valore. La sua funzione è quella d’esistere, a prescindere.
A prescindere da quel pubblico che ha bisogno di sentirsi informato. Partecipe da lettore di una storia. Non può eseguire la sua rivoluzione sempre intorno allo stesso stucchevole ritratto fanciullesco.
Ritrarre il futsal, come se fosse avvolto da una nebbia che non permette di distinguere i volti, i valori, i meriti e i demeriti, ne svilisce il valore.
Lacie Easton, Denise Palmer, Terry Swift. Giocatrici straordinarie, i loro inizi umili di carriera, la voglia di emergere, il successo del momento, il futuro incerto ma positivo.
Un racconto con soli protagonisti, senza comprimari. L’omino dello scopettone, fondamentale per la riuscita della stagione. Come l’omino che riempie i distributori fuori dal palazzetto. Un grande esercito di spartani composto da 300 Leonida. Ogni partita una battaglia delle Termopili.
Una battaglia che Serse non ha perso. Hanno vinto una volta a testa. Serse ci tiene a puntualizzare che il campo era troppo stretto, rispetto a quello al quale sono abituati. Inoltre ricorda che non hanno potuto giocare davanti al suo pubblico. Già i seggiolini sono dispiaciutissimi.
Oggi non accade davvero nulla che valga la pena raccontare. Interessante non solo da leggere, ma anche da scrivere. Concorrenziale almeno quanto la convocazione di João Pedro, con l’Italia di calcio a 11. Il futsal italiano si avvolge in una bambagia che non l’aiuta a crescere.
Il futsal ha bisogno di eroi unici e riconoscibili e di storie. Di unicità e di individualità. Ha bisogno di coraggio, indipendenza e creatività. Qualcosa inizia ad emergere, lentamente ai margini dell’impero. Che sia ancora Serse? e non Cosmi.