Alcune storie hanno un incipit casuale, all’apparenza scollato dalla narrazione consueta.
Questa inizia esattamente così, con una foto apparsa per una coincidenza algoritmica.
Uno catto che ritrae una giocatrice di futsal che stringe, un controller della PS5.
Spesso i giocatori, di futsal quanto di calcio, trascorrono parte del loro tempo libero, con i videogame. La foto su IG m’incuriosisce, le scrivo.
Matilde, con quel nome da antica nobildonna. Un bellissimo nome, quella della sua nonna scoprirò poi.
Gioca da sola, spesso. Le racconto che così getta via metà del contenuto dei videogame, è come giocare a futsal in una sola metà campo da sola e pensare che quella sia una partita.
Matilde risponde a monosillabi in chat. Impiego almeno due settimane a sentire la sua di voce. Le chiedo perché l’agonismo del suo sport, non si riversa anche nel gaming. Si somigliano così tanto.
La risposta è un misto di timidezza apparente, riservatezza e disillusione. Quest’ultima non s’adatta alla sua età. Matilde è giovane, anche per lo standard del gaming. Vita brevissima quella dei pro player, molto più corta di quella di atleti in sport tradizionali.
In uno slancio di fiducia, mi racconta dei suoi sogni, concreti come lo sono le donne del sud d’Italia. Seguono i suoi studi, l’impegno con il Real Statte e la sua PS5 o la Switch.
Le chiedo: “Ma vuoi provare a giocare competitivo?”
“Si, ma”. Ecco i “ma” sono sempre un problema. Vuol provare, ma con un gioco bello, che sia sulla console e gratuito. Bello è un aggettivo profondamente soggettivo e mi preoccupa.
Una lunga ricerca ci fa approdare su Dauntless, il “Monster Hunter dei Poveri”.
Scopro con mia grande sorpresa che non sto perdendo tempo. Matilde, ha il pollice opponibile, riflessi abbastanza pronti e una decente coordinazione occhio mano.
Mi irritano i suoi: “Non lo so fare” e “Non lo trovo”, sfodero allora la mia proverbiale intolleranza verso queste affermazioni. Le dico, in chat vocale così che possa ascoltare anche il tono delle parole.
“Nessuno sa fare qualcosa, prima d’averla imparata” e aggiungo, “Se sei qui perché qualcuno ti dica brava, non sei nel posto giusto. Io posso dirti dove sbagli, il risultato ti dirà dove hai fatto bene”.
Giochiamo tanto, lei si diverte.
Un giorno la conversazione vira verso il circuito PRO. Su quelli che del giocare hanno fatto una professione. Cerco di spiegarle che ci sono, sono anche tanti ma sono su altre piattaforme, giocano ad altri titoli.
Vuol provare, davvero. A competere. Eccolo il giocatore di futsal, l’agonista che viene fuori. Trovare un titolo competitivo, che abbia una “scena” professionistica, su console, non è facile. Ricordo però che Smite, dovrebbe avere tutte le caratteristiche necessarie.
Free to play, cross platform, altamente competivo.
Passare da giocare con altri, contro “mostri” “scriptati” (cioè dal comportamento altamente prevedibile) a cimentarsi contro giocatori umani rappresenta un salto sull’abisso.
È come passare dal giocare a pallone contro il muro a giocare in Serie A. Direttamente, senza livelli intermedi. Provo a metterla in guardia. Cerco di spiegarle cosa l’aspetta ma non potrei essere mai capace di raccontare a parole, la brutalità digitale di un MOBA.
Matilde può giocare, competere e non fare la figura della scappata di casa. Da questa considerazione nascono i LiLaT. Il clan di Linea Laterale. Su queste pagine e su quelle che ora son scomparse ma le ho conservate, ho spesso parlato di quanto gli eSport siano una forma d’intrattenimento più efficiente di molti sport minori.
Arriva anche il momento di dimostrarlo. Non volendo emulare quei presidenti che mettono su le squadre così a caso come con le figurine dei calciatori, mi sono procurato in anticipo i tasselli che mi mancavano.
Ci sono dei ruoli da coprire. Delle necessità di squadra e come vi direbbe “l’uomo del mutuo” queste vanno soddisfatte. Non con quello che vorremmo, ma con quello che serve. Posso giocare Support senza fare schifo, ma ho bisogno di un Carry. Alan è l’uomo giusto per questo.
In Smite si gioca anche 3vs3, così ho coperto la squadra per quel tipo di competizione.
Per il 5vs5 che è la modalità della Pro League, servono almeno un Jungler e un secondo laner. Alessandro e Marco, il primo su PS4, l’altro sulla Switch.
C’è anche Simona, la seconda donna della squadra, lei gioca a futsal in A2, nel Città di Taranto. Perché il sesto uomo è importante come nel basket. Se volete giocare con noi, potete cercare il clan “Linea” in Smite e unirvi a noi.
Quanto sia lontana la Pro League, non è possibile dirlo. Non c’è una previsione realistica al momento. I primi tornei, quelli del circuito Community e Amateur, quelli potrebbero essere più vicini, possibilmente quelli con i premi in denaro.
LiLat per non parlare solo di futsal, per non chiuderci in una bolla dimenticando cosa c’è fuori e anche per far conoscere in un modo diverso, chi pratica e compete nel calcio a cinque. Per riempire di bellezza un mondo, quello del futsal, dove i protagonisti sono raramente i giocatori.