Il ponte di legno, i locali chiusi alle ventidue, le cucine chiuse alle 21. Però c’era lo spritz a due euro. Cinque anni fa, non cinque eoni fa. Chiara Cerato era il capitano del Breganze, c’era il Cagliari di Peque e l’Olimpus di D’Orto iniziava lì la sua cavalcata verso il triplete.
La Final Eight femminile, si giocava così a nord che era più vicino il confine austro-ungarico che la prima squadra di futsal femminile di Serie A. La Luparense di futsal era già scomparsa e a San Martino di Lupari, restavano solo le vigne.
Incontri disputati, un palazzetto più piccolo di quello posizionato a soli cinquanta metri di distanza. Quello dedicato all’hockey su ghiaccio. La prima partita era alle dieci, del mattino. Per essere lì in tempo, partendo dalla terronia settentrionale, dovemmo fare tappa a Bologna per la notte.
Uno sport dovrebbe avere memoria, almeno di se stesso. Una minima conoscenza, di quelle scolastiche, da almanacco sportivo. Per evitare di sembrare capitati lì, per caso. Un po’ come quel test di gravidanza, positivo, trovato al fianco di un boccale di birra in una via del centro storico di Bassano.
Il Breganze giocò all’orario della colazione, non per qualche macchinazione ai suoi danni. Era semplicemente capitato in una posizione di classifica tale da essere estratto in quello sfortunato orario, decisamente molto mattutino.
Quando le strutture di gioco, ospitano più discipline, s’ottimizzano i tempi. Quando orari ben più mattinieri furono scelti in una Final Eight, riempirono gli spalti di scolaresche. C’era ancora Tonelli presidente e si giocava tutti nella stessa città. Quella con i suoi troppi palazzetti.
Torna ciclico il ritornello: “arbitro scarso”, colpevole dei pessimi risultati di una squadra. La tecnica comunicativa di coprire le mancanze di una squadra, affibbiando le responsabilità al direttore di gara, l’ha consumata José Mourinho. Dal più recente “ti ha mandato la Juventus” al più vetusto “si vede che diamo fastidio”.
L’arbitro è l’unica variabile, che i presidenti non possono controllare. Quella sulla quale è più semplice scaricare le responsabilità della direzione sportiva.
“Quando lasci decidere la partita all’arbitro, vuol dire che stai giocando male”.
Dovrebbero appendere questa frase in tutti gli spogliatoi, perché nelle sedi delle squadre di futsal non si può. Non esistono.
Cinque giocatori capaci di vincere allori internazionali, altri tre giocatori di livello mondiale. La colpa se perdi è: dell’arbitro. In un mondo perfetto, a misura delle ambizioni di tutti i patron, le partite dovrebbero finire con una doppia vittoria.
In una disciplina che macina più titoli sportivi, che farina il mulino del paesello, queste dovrebbero avere più coscienza di se stesse. Se il vostro broadcaster non vi versa un euro per le partite che trasmette, non avete un prodotto.
Se il calcio femminile, quello alle 15, su La7, in chiaro all’ora della pennichella o dello shopping al sabato, interessa più spettatori di media, che l’ennesima sfida salvezza del futsal, dovreste interrogarvi sulle ragioni. Non si dovrebbe presentare una strategia di comunicazione che sia più complessa, di “andiamo su sky”?
Perché se ieri, per la sfida d’eccellenza, l’Avezzano calcio aveva al seguito più tifosi, di quelli presenti nell’intera seria a di calcio a 5, c’è un chiaro problema di percezione. Scontri a parte fuori dal Valle Anzuca, compresi i carabinieri feriti, nei tafferugli post partita. Quelli sembra contassero una forza più consistente.
Per offrire un termine di paragone. Lo stadio Adriatico per la sfida di Serie C, tra Pescara e Siena, contava poco più di 1700 paganti. Dove sono tutti quelli che prima affollavano il “Cornacchia”? A casa a guardare la Premier League, probabilmente.
Il futsal oggi, è un prodotto che il tifoso medio può permettersi di ignorare senza restare escluso dai discorsi da bar sport. Quelli che in questo lunedì spaziano dal “corto muso” di Allegri, al risultato del derby di Manchester per finire con la pessima prova di Niang con la maglia del Bordeaux.
Come si può rendere il futsal, un prodotto che non si può ignorare?
Forse, la risposta a questa domanda è l’unica importante. Quella fondamentale, l’unica che dovrebbe occupare le conversazioni sul futsal italiano. Più degli oriundi, degli arbitri e della passione per le pratiche autolesioniste.