Aziende d’intrattenimento

Le squadre di calcio, possiamo anche non confinare questa riflessione al solo calcio, sono spesso definite aziende di intrattenimento. Promotrici di esperienze indimenticabili, da offrire ai propri tifosi. Queste squadre assurgono anche al rango di istituzioni religiose, il calcio come fede appunto.

Non c’è nulla d’insolito in tutto questo. Se consideriamo il vero obiettivo a cui deve mirare una squadra di calcio, per rendere tutto ciò credibile. Essere riconosciuti come un brand.

Uno status che si guadagna con una strategia e delle attività precise, partendo dalla voglia di crearsi un’identità riconoscibile in cui i sostenitori possano identificarsi. Per questo una disciplina, una squadra, deve cercare d’impegnare il tifoso per oltre i canonici tempi di gioco.

Oltre la partita di campionato. Al fine d’intercettare i propri sostenitori, in qualsiasi momento della giornata, sette giorni su sette. Per questo il risultato e il racconto della partita non bastano più per intrattenere una relazione solida.

Una squadra deve avere un carattere. Deve offrire delle percezioni, deve condividere dei valori, in cui le persone possano riconoscersi e fidarsi.

In un contesto di alta competitività, di una offerta che spazia dal già citato calcio, fino alla palla corda, la capacità di attirare tifosi e di fidelizzarli rappresenta una sfida. Non può essere derubricata alla occasionalità, di una irrigidita pratica già vetusta.

Chiunque tifi una squadra appartiene a dei colori, ad un nome, ma dotarsi di una sede e dei colori sociali non basta per alimentare un certo tipo di appartenenza. Una squadra può e deve valorizzare la propria comunità. Spesso e volentieri questo può coincidere con l’appartenenza territoriale.

Nel futsal, i piccoli centri, hanno sempre risposto con vivacità. Per alcuni fattori comuni. Una comunanza d’identità con i club calcistici, l’aver preso a prestito una parte della tifoseria locale, la marcata scarsità di offerta sportiva e competitiva.

Ci sono squadre che fondono i propri sentimenti e il proprio racconto proprio con quello della città. In Italia ad esempio, possiamo parlare di casi come quello dell’Inter e Milano e il Venezia con la Laguna. Proprio la squadra veneta, ha avviato ad inizio stagione una aggressiva e intelligenza campagna di promozione del suo brand.

Il Venezia esporta e fortifica le percezioni attorno alla città. Attraverso la comunicazione visuale del club. Ha contrattualizzato alcuni acquisti mirati a impreziosire il progetto tecnico ma anche l’identità del club, in giro per il mondo.

Infine attraverso un asset fondamentale e simbolico come la maglia, è stata capace di trasformarla in oggetto di culto. Capace di attrarre l’interesse dei collezionisti di tutto il mondo. Ha promosso anche il suo progetto di calcio femminile. Veicolandolo senza pregiudizi attraverso l’avvenenza della sua centrocampista Agata Centasso.

La maglia del Venezia è diventata veicolo per promuovere parte della brand purpose del club. Dalla collaborazione con la ONG “We are here Venice” alla successiva partnership con Green Project Agency.

Tutto ciò che il Venezia fa, da una nuova release fino allo scouting di un certo tipo di calciatori, ha un senso preciso. Fortificare l’identità del club e di Venezia oltre i confini nazionali.

Le attività che mirano a rafforzare il legame tra il club e la comunità locale, possono anche essere delimitate a momenti specifici. Ad esempio nella fase di riscaldamento nel prepartita. Diventata spazio pubblicitario importante. Fruttato egregiamente dal Chelsea che ha sfoggiato proprio in quel momento la collezione “Pride of London”, ideata insieme a Nike.

Lo sport, soprattutto il calcio può essere un veicolo. Per aumentare le percezioni positive attorno al proprio brand. È un modo alternativo per intercettare nuove fasce di pubblico che un brand esterno all’ecosistema sportivo non riuscirebbe a raggiungere.

La capacità di monetizzare i propri fan nel mondo del calcio, è ancora a distanza siderale rispetto ad altri sport americani. Oppure a settori come la moda o la musica. La differenza da evidenziare è la globalità e universalità del calcio, difficilmente riscontrabile in altri mercati.

È per ragioni come queste che brand come Spotify decidono di diventare main sponsor di club come il Barcellona. Acquisendo i name rights di uno stadio iconico come il Camp Nou a cifre interessanti.

A proposito di Barcellona, i grandi calciatori possono aumentare il valore e le percezioni positive attorno ad un campionato. Come successo con la J League, la massima serie giapponese. Ha aumentato il proprio valore commerciale grazie alla militanza di Andrés Iniesta.

I calciatori “idoli” sono molto utili per penetrare alcuni mercati e Paesi, riducendo il tempo e gli investimenti che necessiterebbero le campagne di marketing di altro tipo. Adidas, infatti, sta allargando il suo parco calciatori in vista dei Mondiali 2026 puntando sull’Asia. Qualche giorno fa ha stretto un accordo con Sandesh Jhingan, vicecapitano della nazionale indiana.

Il futsal, si agita spesso in maniera scomposta, all’interno di uno spazio di possibilità già ampiamente occupato da altre discipline. Si trova in competizione diretta per l’attenzione di brand e di un pubblico, sommersi quotidianamente da stimoli visivi studiati appositamente per catturare l’attenzione.

Vengono investite da altri sport, cifre importanti per veicolare la disciplina sportiva di riferimento. Scegliendo anche di cavalcare positivamente il “sentiment” del suo pubblico. Prendendo posizione su un tema di rilevanza sociale.

Queste operazioni richiedono però che le squadre di futsal, si strutturino come società, capaci di agire appunto come aziende che offrono uno spettacolo. Badate bene, non è affatto facile nemmeno tra i professionisti del calcio. È notizia di qualche giorno fa, l’abbandono di Maurizio Costanzo come responsabile della comunicazione dell’AS Roma.

Non c’è però altro mezzo, che professionalizzare talune posizioni. Anche a rischio di perdere quella identità familiare, quel senso di “giocattolo mio”, che in talune circostanze è stato il motore umorale d’investimento del futsal.

Qualche Percassi in più, non farebbe male al futsal italiano.

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